Rivoluzione "dal basso". Consumare meno per svuotare le ragioni della guerra
La guerra in Ucraina, le sanzioni economiche, le reazioni delle borse e dei mercati ci stanno ricordando dolorosamente le interdipendenze in cui siamo immersi, che riguardano risorse energetiche, cibo, materiali essenziali. Questo ci pone, o forse fa soltanto emergere in modo più forte e rapido, domande sulla sostenibilità economica, ambientale, sociale di un sistema di produzione e consumo che è stato sviluppato sull’ipotesi di una disponibilità illimitata (e dunque – irresponsabilmente – considerata a costo basso o nullo) di materie prime e di “spazio ambientale” in cui scaricare i rifiuti delle nostre attività alimentate da quelle risorse (l’atmosfera, i fiumi, i mari, il suolo). Un modo di rispondere alla guerra senza aggiungere armi ad armi e tragedia alla tragedia, è agire su una delle cause, da sempre, di conflitto. La competizione per le risorse. A partire da quelle energetiche.
Molte delle risorse che “utilizziamo” sono in realtà sprecate senza che producano alcun risultato utile. Larghissima parte dei nostri edifici sono come secchi bucati, e ristrutturazioni tecnicamente ed economicamente efficienti potrebbero ridurre del 70-90% il consumo per riscaldamento, raffrescamento, acqua sanitaria e aumentarne comfort e salubrità. Spesso usiamo auto che pesano 2 tonnellate e mezzo per trasportare per pochi chilometri noi stessi e qualche borsa, cosa che potremmo fare con una bicicletta. I cosiddetti SUV sono una delle maggiori fonti di crescita dei consumi globali e impattano più di tutto il trasporto marittimo (IEA outlook 2020). Eliminare questi e altri sprechi e dimezzare il fabbisogno di energia, per poterlo veramente soddisfare con fonti rinnovabili (la percentuale di copertura da rinnovabili tradizionali e nuove è al palo a livello globale al 20% da 10 anni nonostante la crescita spettacolare delle installazioni, perché nel frattempo l’uso e lo spreco di energia è cresciuto ancora più velocemente) è tecnicamente ed economicamente alla portata.
Una parte consistente di questa riduzione dell’abuso di energia può essere realizzata molto rapidamente, investendo in infrastrutture che abilitino comportamenti intrinsecamente a basso uso di energia. Per esempio la città di Parigi ha: pedonalizzato le due rive della Senna semplicemente transennando gli ingressi, trasformandole in un grande, apprezzatissimo, parco urbano; ridotto la velocità massima a 30 e 20 km/h sul 95% della città, realizzato una rete di oltre 1.000 km di piste ciclabili, di cui una parte consistente in poche settimane e notti durante il lockdown, pedonalizzato l’asse a 4 corsie di Rue de Rivoli, che attraversa la città da est ad ovest, pedonalizzato le strade davanti alle scuole. Una politica di questo tipo applicata, sotto la spinta dell’emergenza in corso, a tutte le città d’Italia permetterebbe di effettuare in tempi brevi e con investimenti limitati quella transizione alla mobilità attiva che è necessaria ad affrontare la crisi climatica. E non sarebbe un sacrificio, ma anzi una gioiosa liberazione da tanti mali che ci affliggono (l’avvelenamento dell’aria che respiriamo, le malattie da inattività fisica,…) e restituirebbe a bambini e anziani grandi spazi di autonomia e socialità di cui sono stati derubati.
La International Energy Agency (IEA) nell’outlook 2020 stima che interventi soft come la ciclabilità, la riduzione della velocità massima sulle strade, la riduzione sistematica della temperatura di lavaggio dei panni, etc., possano ridurre i consumi in quantità simile all’incremento di efficienza tecnologica di sistemi e processi. E presenta esempi in cui questo è stato realizzato in poche settimane o mesi, nel rapporto “Saving electricity in a hurry”. Tante altre soluzioni semplici ed economiche, come i soffioni doccia che miscelano acqua con aria (con risparmi fino al 50%, certificati da etichetta ufficiale in Svizzera), i ventilatori a soffitto e vestiario leggero in estate anche negli uffici, etc. possono essere diffuse rapidamente e capillarmente. Quello che serve è il senso dell’urgenza. La tragica guerra aperta d’Ucraina – che va fermata al più presto – ci mostra brutalmente quello che il deregolamento climatico e la perdita di biodiversità ci mostrano (per ora) più lentamente: risorse date per scontate non lo sono affatto, e non lo saranno nel futuro.
La politica deve rispondere immediatamente, investendo urgentemente in infrastrutture (di basso costo, come visto) che abilitino comportamenti a basso uso di energia e la realizzazione di una massiccia campagna di informazione che ci guidi a una profonda e liberatoria trasformazione nei comportamenti. A seguire, nel giro di pochi mesi, con (I) una revisione degli strumenti di policy per la ristrutturazione a zero energia di tutto il patrimonio edilizio, attualmente basati su incentivi tanto generosi quanto poco ambiziosi nel risultato e (II) un balzo nella promozione delle fonti rinnovabili, che, se dimezziamo la domanda, potrebbero essere più razionalmente dimensionate, usate in maniera diffusa anziché concentrata, integrate in modo ottimale nell’architettura e nel paesaggio e dunque accolte a braccia aperte dai territori. Sono i modi per tagliare una delle radici dei conflitti e boicottare tutti gli eserciti.
Rispettivamente Fisico e Urbanista presso il Dipartimento di Architettura e Urbanistica del Politecnico di Milano