Il direttore risponde. Passa anche per la "cura" il solco che separa ricchi e poveri, gente dei rioni alti o popolari
Caro direttore,
«niente deve andare perduto», ma di tutto dobbiamo fare tesoro per non ripetere errori già commessi, per non dare spazio alla maldicenza e all’odio, per meglio organizzare la speranza. A Napoli e in Campania ancora c’è tanta confusione, rabbia, dolore, senso di impotenza per la morte del povero Davide. Come ho avuto modo di scrivere domenica scorsa su " Avvenire", questa brutta e dolorosa vicenda, per essere compresa, deve essere inquadrata in un contesto più ampio di quello strettamente personale e familiare. Ho letto a riguardo decine di articoli e centinaia di commenti. Ognuno ha il diritto di pensare come meglio crede, però se non si indagano le cause di certi comportamenti, col desiderio di correre ai ripari, non si arriva da nessuna parte.
Direttore, voglio raccontare a te e ai lettori di "Avvenire", sperando che anche questa volta legga con noi il caro presidente Napolitano, che ringrazio pubblicamente per la telefonata che mi ha fatto lunedì in segno di condivisione del mio articolo sulla vicenda del Rione Traiano, una storia vera. Giovanni, mio fratello è gravemente ammalato. Leucemia crudele che non lascia speranza. "Terra dei fuochi" continua a mietere vittime. Dopo soli pochi giorni di ricovero al Cardarelli, lo rimandano a casa. Intorno a lui si mobilita la famiglia che, grazie a Dio, è numerosa e gli vuole un mondo di bene. Martedì scorso occorre ritornare al Cardarelli per ritirare il sangue per la trasfusione. Un caro confratello, cui Giovanni è molto legato, si offre di andare. Sta aspettando il suo turno quando gli arriva una telefonata: «Don Adriano, il medico curante ha chiesto per Antonio, mio marito, una urgente visita chirurgica toracica. Siamo stati all’ospedale Monaldi per prenotarla, ma ci hanno detto che prima della fine di ottobre non sarà possibile. Ci puoi aiutare?». Don Adriano si trova al Cardarelli e si incammina per chiedere informazioni. Anche qui la lista di attesa è lunga, la prenotazione cade addirittura al 19 novembre. Gli viene detto, però, che se vuole fare prima può tentare con la prenotazione "Intramoenia". L’ edificio è appena poco distante. L’ impiegato prende nota e gli dà appuntamento il pomeriggio dello stesso giorno. Entro poche ore, cioè, Antonio potrà essere visitato. Unico problema: occorre pagare subito 200 euro. Il buon sacerdote ritorna con il sangue da trasfondere a mio fratello e con tante domande. «Padre - mi chiede - possibile? Ma è giusto? Che cosa sta mai accadendo nel mondo della sanità? Ma ci siamo accorti che per i poveri non c’è più possibilità di essere curati? Siamo in un ospedale pubblico, non nello studio privato di un luminare, e anche qui se hai 200 euro vieni visitato oggi, in caso contrario devi aspettare il 19 novembre. Padre, che cosa mai il Signore sta chiedendo alla sua Chiesa? Dobbiamo fare qualcosa, non possiamo più fingere di non sapere, di non vedere. I poveri, i prediletti di Gesù, sono sempre più maltrattati …».
Tanta rabbia nei poveri - e lo dico con estrema certezza - nasce proprio da questa impotenza. In una Regione dove tanti diritti vengono negati o, a volte, debbono essere chiesti come se fossero favori, non meraviglia che molta gente cerca poi di sfuggire in tutti i modi ai doveri... Senza dimenticare, caro direttore, che tanti nostri ammalati stanno soffrendo pene amare per l’ingordigia, le omissioni, le collusioni, i malaffari degli altri e l’ incapacità di una politica che non ha saputo tutelare il territorio e la salute dei cittadini. Se non si pongono le mani a questo aratro, nessuna illusione. Continueremo a dividerci e a farci male. Il solco che separa ricchi e poveri, quartieri alti e rioni popolari, professionisti e disoccupati, nord e sud si allargherà sempre di più, portando malessere e sofferenza.
Ma possiamo farcela. Insieme ce la possiamo fare. Basta avere il coraggio di dire le cose come stanno, di tendere una mano a chi chiede di essere aiutato, di non creare più nelle periferie delle nostre città agglomerati popolari come se fossero riserve indiane. Basta mettere al centro di ogni riflessione e decisione politica la persona umana e non gli interessi privati di Tizio o Caio. Grazie, direttore.
Padre Maurizio Patriciello