A voi la parola. Parto anonimo e «culle per la vita»: due alternativa seria all'aborto
Gentile direttore,
sono una pediatra neonatologa, in pensione, e per 40 anni ho lavorato nel nido e nella terapia intensiva del Policlinico universitario Federico II di Napoli. Ogni paio di mesi le cronache riportano casi di neonati abbandonati (oggi a Catania). Vorrei far presente e spero che si trovi il modo di pubblicizzare quanto segue: in Italia esiste la possibilità del parto in anonimato per cui la donna partorisce in ospedale ricevendo la dovuta assistenza al parto e poi può abbandonare il bambino senza che ne rimanga traccia. Si aiuta il neonato se si aiuta anche la mamma e viceversa; bisogna che le donne sappiano di avere questa possibilità (frutto di una legge di grande civiltà) e affinché lo sappiano va fatta la dovuta informazione in tutti i luoghi dove possono ascoltare e comprendere ciò che l’interessa, in varie lingue e in posti pubblici come metropolitane, chiese, mense etc. Non sono adeguate le culle termoriscaldate presenti in vari ospedali e reclamizzate come eccellenze; si deve partire dalla madre senza colpevolizzarla, ma offrendole le giuste cure e l’adeguato conforto. Sono certa che seguendo la legge del parto in anonimato si riuscirebbero a salvare tanti neonati e anche tante mamme e forse anche a farne rimanere qualcuno con la propria madre.
Gentile dottoressa Cascioli, la lettera che ha voluto indirizzarci solleva alcuni aspetti che anche per noi sono fondamentali quando si parla di difesa e di promozione della vita nascente. Il direttore mi invita a rispondere alle sue osservazioni, e lo faccio molto volentieri. Inizio da un primo aspetto, su cui sono in accordo con lei: è necessario far conoscere di più e meglio la legge che consente il “parto in anonimato”, attraverso campagne istituzionali e locandine in tutti i luoghi in cui può trovarsi una donna in stato di gravidanza. La consapevolezza delle opportunità offerte da questa legge potrebbe sicuramente salvare molte vite. Ma nessuno se ne occupa ed è chiaro il motivo: la nostra società considera come personale la scelta di accogliere o non accogliere un bambino. Una decisione della donna sulla quale non si può e non si deve interferire. Ecco allora che pubblicizzare il parto in anonimato come una alternativa degna e umana all’aborto, manifestare insomma una preferenza per la vita a dispetto dell’assoluta e persino solitaria autodeterminazione, potrebbe essere bollato come una indebita pressione sulla donna. E apriti cielo... Sul secondo aspetto, invece, mi permetto di dissentire: lei, gentile dottoressa Cascioli, sostiene che le culle per la vita “non sono adeguate” ad aiutare una mamma in difficoltà. È vero, i neonati deposti in sicurezza nelle culle non sono molti. Ma quelle culle sono un richiamo e una testimonianza. Sono lì a dirci che i bambini non si lasciano per strada, ma vanno protetti quando sono più indifesi, e che c’è qualcuno che se ne prenderà cura. La presidente del Movimento per la Vita, Marina Casini, recentemente ci ha raccontato di aver conosciuto donne che si sono convinte a mettere al mondo un figlio, altrimenti indesiderato, solo per aver visto una culla in un angolino alle porte di un ospedale, o un volantino che presentava questo servizio. Perché in cuor loro cercavano un’alternativa a quell’atto estremo e senza ritorno che è l’aborto.