Regno Unito. Partito diviso e leader in crisi, Laburisti senza riferimenti
Il leader del partito laburista britannico Jeremy Corby, ai tempi delle primarie (Reuters)
Non si è mai visto nulla del genere nella storia della politica. Il partito europeo in più rapida crescita e quello che attira giovani, sconfiggendo la fuga dalla democrazia e dalle istituzioni che è un malessere dilagante, è profondamente diviso e guidato da un leader detestato dalla maggior parte dei suoi parlamentari. Il 'Labour' britannico versione 2017 non finisce di stupire. Parlamentari che abbandonano il proprio seggio per diventare direttori di musei e manager e ministri del governo ombra che si libererebbero subito del loro capo Jeremy Corbyn se potessero. Non sembra certo il partito che Tony Blair portò al potere nel 1997, dopo averlo riformato e rimesso al centro, riducendo l’influenza dei sindacati e continuando le privatizzazioni della Thatcher. Il grande Tony conquistò ben 419 seggi, il numero più alto della storia del Labour e vinse tre elezioni di seguito. Oggi, se si andasse a votare, Jeremy Corbyn perderebbe sicuramente, assestandosi su 150 parlamentari.
Leader di estrema sinistra, contro il nucleare e a favore della nazionalizzazione delle ferrovie, eletto quasi per caso dopo che il suo predecessore Ed Miliband aveva perso le elezioni del 2015, Corbyn sembra spesso più interessato a protestare che a conquistare davvero il potere. Grigio e incapace di convincere i media, nessuno riesce a immaginarlo a Downing Street anche se attira migliaia di giovani, rivoluzionari e un po’ fanatici come lui, che continuano a votarlo. Ecco, quindi, un elettorato Labour in continua crescita. Oltre mezzo milione di membri, secondo le ultime statistiche, la cifra più alta in un decennio, il doppio dei soci che il partito aveva alle elezioni generali lo scorso anno, ben oltre il massimo punto raggiunto da Tony Blair nel 1997 di 405.000. L’aumento è dovuto anche a un nuovo sistema di iscrizione, introdotto da Ed Miliband, che consente a chi ha la tessera di eleggere il leader, mentre prima toccava ai parlamentari. Basta inoltre pochissimo, soltanto 3 sterline, per avere diritto di voto. Insomma, lasciatosi alle spalle l’epoca d’oro del 'New Labour' marca Blair, il partito perde consenso a vista d’occhio tra gli elettori e fa fatica a recuperare da quando, nel 2010, sotto la guida di Gordon Brown, subì la peggiore sconfitta in quasi cento anni di storia. Basti pensare che, alle ultime elezioni di due anni fa in Scozia, roccaforte del partito socialista, il Labour ha visto dileguarsi tutti i seggi con l’eccezione di uno.
Saranno le elezioni supplettive del prossimo 23 febbraio, quando si voterà per sostituire i parlamentari delle circoscrizioni di Copeland e di Stoke on Trent, da sempre invincibili seggi laburisti, a decidere del destino di Jeremy Corbyn e del suo partito. In questi due seggi poveri del nord di Inghilterra dove, da quando hanno chiuso le miniere e le acciaierie, manca il lavoro, i deputati Jamie Reed e Tristram Hunt hanno dato le dimissioni perché critici verso il leader. Per sentire il polso del partito siamo andati Westminster, alla Camera dei Comuni dove il ministro ombra per il Nord Irlanda, Stephen Pound, un cattolico convinto, che distribuisce l’Eucarestia alla Messa che i parlamentari cattolici frequentano ogni giorno, lavora per il leader Corbyn pur vedendone tutti i limiti. «Jeremy è una bravissima persona – racconta –. Molto umano. Il tuo vicino di casa ideale, quello che ti regala la frutta e la verdura del suo orto e ti fa la marmellata. Che sia in grado di guidare un partito socialdemocratico moderno è tutta un’altra cosa. Se perderà le due elezioni straordinarie del prossimo 23 febbraio potrebbe essere costretto a dimettersi. Se vince, d’altra parte, la sua leadership sarà al sicuro, dentro un giubbotto a prova di qualunque proiettile». Secondo mister Pound «esiste un vero rischio che il seggio di Stoke on Trent, città povera dell’Inghilterra del Nord, dove il 69% degli elettori ha scelto la Brexit perché i lavoratori in arrivo dalla Ue fanno scendere i loro stipendi, finisca nelle mani dell’Ukip, il partito antieuropeo e populista per eccellenza considerato anche che a candidarsi è il leader stesso mister Nuttall. Ed è possibile che Copeland venga conquistato dai Tory».
Il ministro ombra per il Nord Irlanda spiega che «la base, in questo momento, sostiene Corbyn perché pensa che abbia diritto a una 'chance' anche se la maggior parte dei parlamentari socialisti vorrebbero che si dimettesse». Stephen Pound ha dubbi sull’aumento della base del partito. «Di quel mezzo milione di soci molti si sono iscritti soltanto per votare per Jeremy. Non si impegnano a fare campagne elettorali o a sostenere le nostre idee socialiste. Sono aderenti a un culto costruito attorno alla figura del capo. L’idea di Ed Miliband di allargare la base ha diluito l’identità del 'Labour'. Dobbiamo cambiare il sistema di elezione del leader perché così non può funzionare». Il ministro ombra per il Nord Irlanda non nasconde le profonde divisioni che lacerano il partito della rosa rossa: «È la maledizione dell’estrema sinistra, raccontata da Gramsci e da altri filosofi della politica. Ci sono i trotskisti, gli stalinisti, i leninisti. Il movimento che sostiene Corbyn, 'Momentum', è fatto di persone che credono soltanto in attività extraparlamentari, altre che sono socialiste e altre ancora che sono rivoluzionarie. Queste fazioni non hanno nulla in comune».
Tra i giovani che si sono iscritti al Labour, perché convinti dalle idee di Corbyn, c’è anche Adam Aissaoui- Helckè, 17 anni, che ha preso la tessera nel 2015. Esponente di estrema sinistra, Adam pensa che Corbyn stia abbandonando le sue idee più radicali perché è stato criticato più volte dai suoi colleghi parlamentari laburisti. «L’ultima delusione è stata la sua mancata difesa dei migranti – spiega – Corbyn ha ceduto ai membri del partito più di destra e ha tradito le idee che ha da sempre». Secondo Steve Coulter, docente di politica economica europea alla 'London School of Economis', Corbyn è un leader incompetente, non interessato davvero né a vincere le elezioni né a diventare primo ministro. «Il capo dei laburisti non è ossessionato dall’idea di conquistare il potere, mentre i suoi deputati pensano che è il loro mestiere vincere le elezioni e diventare il partito di governo per cambiare le politiche e introdurre nuove leggi per rispondere ai problemi delle persone che li hanno eletti. Il problema del partito, in questo momento, è che c’è un divario enorme e incolmabile tra il movimento di Corbyn, al quale non importa nulla del potere e che è interessato soltanto a protestare e i parlamentari e il resto del partito che vuole arrivare al governo per cambiare le cose – continua Coulter – i sondaggi danno il partito laburista al punto più basso degli ultimi dieci anni, con meno di 200 seggi in parlamento, se si andasse a votare in questo momento».
«L’ unico modo di rimontare nel gradimento degli elettori – per l’esperto – è cambiare leader ma, per il momento almeno, non sembra possibile perché Corbyn vuole guidare il partito fino alla prossima elezione generale. Inoltre la base di giovani radicali che l’ha eletto potrebbe scegliere un altro candidato di estrema sinistra». Per Coulter «ci vorrà molto tempo e almeno una o due sconfitte elettorali» prima che l’opposizione si rimetta in sesto e vinca. Grande attivista, membro del partito laburista da quando era giovanissima, Jill Vincent è stata consigliere comunale di 'Charnwood', un’area di circa 70.000 abitanti nel centro d’Inghilterra, dal 1995 al 2011 e ha vissuto gli anni d’oro del potere di Blair come responsabile dell’ambiente. Non vede una via di uscita dalla crisi di oggi. «Non è mai capitato, nella nostra storia, che l’estrema sinistra arrivasse alla guida del partito – dice – e Jeremy Corbyn potrebbe non volersene andare anche se perde le prossime due elezioni supplettive di Stoke on Trent e Copeland. Sicuramente non dà nessun segno di volersi dimettere anche se i suoi parlamentari lo caccerebbero immediatamente».