Editoriale. Papa e Mattarella, parole rivolte a ciascuno di noi
Nel gesto che tutti abbiamo compiuto in queste ore di sostituire il calendario consunto dell’anno andato in archivio con quello ancora intonso del 2024 c’è un carico simbolico che lascia sempre una sua piccola traccia, da non lasciarci sfuggire. Affidando alla memoria le pagine di un anno ormai compiuto ci consegniamo a un tempo inesplorato che attende di essere riempito dalla nostra capacità di dargli senso, contenuto e direzione, caselle bianche che sembrano interrogarci: cosa ne saprai fare di ciascun giorno che ti è dato come un’opportunità?
Mai come in questo primissimo scorcio di nuovo anno siamo in grado di cogliere il significato di essere responsabili di quel che faremo, o che ometteremo di fare. Ci possiamo sentire protagonisti di scelte e programmi, silenziando per un momento la consapevolezza che non tutto dipenderà da noi, che dovremo accettare compromessi, passi indietro, forse rinunce. Ma perché disilludersi subito, e non sentirci invece capaci di tutto il meglio? È per questo che all’inizio dell’anno si è propensi ad assumere impegni, a desiderare, ideare, sognare persino. Dentro questo spirito, ci sono parole che, ascoltate ora, è come se cadessero su un terreno fertile, risuonando come una fonte di ispirazione per compilare un’ideale agenda per l’anno che ci attende. Dalla cultura della pace a un nuovo sguardo su tutte le donne, nelle parole pronunciate in contesti differenti da papa Francesco e dal presidente Sergio Mattarella abbiamo udito distintamente un consonante richiamo all’occasione personale di compiere scelte e adottare comportamenti che possono anche cambiare il corso della storia, mai abbastanza piccola o troppo grande, affidati alla capacità personale di comprenderne la portata potenziale. Una rivoluzione che «dipende da ciascuno di noi», come ha detto il capo dello Stato spiegando che per conseguire la pace «non è sufficiente far tacere le armi» ma serve «educare», «coltivarne la cultura nel sentimento delle nuove generazioni. Nei gesti della vita di ogni giorno. Nel linguaggio che si adopera», restituendola così al suo valore percepibile da tutti di «vivere bene insieme. Rispettandosi, riconoscendo le ragioni dell’altro», per contrastare così un certo «culto della conflittualità» che da politica e mass media tracima in «forme di aggressività» pubblica, palpabili nella comunicazione via social. Perché invece non recuperare «il valore di quanto vi è in comune», irrigando tutto ciò che è «confronto e dialogo»? Già sarebbe molto se, in un clima di diffusa delegittimazione reciproca, quest’anno riuscissimo a «cercare, con determinazione e pazienza, quel che unisce», ciò che Mattarella definisce «uno stato d’animo», un «atteggiamento che accomuna; perché si riconosce nei valori fondanti della nostra civiltà: solidarietà, libertà, uguaglianza, giustizia, pace». Non astrazioni, propositi generici che già si sanno nobili quanto vaghi, ma valori messi a terra nella nostra vita.
Di questa concretezza è maestro il Papa, che «per uscire dalle spirali della violenza e dell’odio» che sembrano fuori dalla nostra portata indica non un principio morale collocato nel cielo delle idee ma la realtà più comprensibile a tutti, senza eccezione alcuna: quella della mamma. Meditando sulla figura di Maria venerata dalla Chiesa come Madre di Dio – e non per caso – nel primo giorno dell’anno, ieri Francesco ha invitato a considerare quanto oggi abbiamo bisogno «di guardare alle madri e alle donne per trovare la pace» e «tornare ad avere sguardi umani e cuori che vedono». La donna è il volto domestico dell’alleanza tra la nostra accidentata umanità e Dio, che non si è isolato nelle sue perfezioni irraggiungibili ma ha scelto di farsi vicino alle imperfezioni di ognuno, prendendo vita umana da una mamma, da una donna, presenza «determinante per la vita di ognuno». Nella constatazione che «ogni società ha bisogno di accogliere il dono della donna, di ogni donna; di rispettarla , custodirla e valorizzarla, sapendo che chi ferisce una sola donna profana Dio, nato da donna» c’è identità persino di parole in ciò che il presidente della Repubblica dice della violenza «più odiosa», quella «sulle donne» che meritano un amore che «non è egoismo, dominio, malinteso orgoglio» ma «dono, gratuità, sensibilità». Un linguaggio che per il Papa impariamo dalle madri, capaci di insegnarci «con la loro cura nascosta, con la loro premura» che «l’amore non soffoca mai, l’amore fa spazio all’altro». Questo principio – che per il capo dello Stato è «ben più che rispetto» – dà forma all’architrave di una pace accessibile a tutti, nutrita dalla «capacità di ascoltare».
È vero, allora, quel che ci sta dicendo il calendario con le caselle ancora da riempire: «Possiamo dare tutti qualcosa», all’Italia come alla Chiesa, alla società, agli altri, alla nostra famiglia. Ma anzitutto a noi stessi, responsabili di quel che saremo capaci di dare e di fare, lungo un anno che oggi ci appare così pieno di promesse.