Opinioni

Editoriale. Parla Olimpia, tacciano le armi

Mauro Berruto giovedì 25 luglio 2024

Due settimane di bellezza, velocità, forza, armonia. Due settimane dove atleti consapevoli di emozionarsi e trasmettere emozioni, di sognare e custodire sogni su di loro proiettati dalle loro famiglie, dai loro amici, da un intero Paese, correranno, salteranno, lanceranno, solleveranno pesi, combatteranno, vogheranno, pedaleranno, nuoteranno. In estrema sintesi, faticheranno, con la gioia di farlo. Una fonte di energia gigantesca che farà rotolare il mondo verso il meglio, perché la fatica è una medicina. Lo è stata per il nostro Paese dopo le guerre, dopo i grandi momenti di crisi. È un antidoto contro una malattia di cui la nostra Italia e il mondo intero soffrono: la rabbia. Per combattere quella rabbia servono sogni grandi e obiettivi intermedi chiari, raggiungibili, misurabili. Serve programmazione. Serve allenarsi. Serve fatica, fatica, fatica. Serve cadere, senza vergogna, perché quello che conta non è il rumore della caduta, ma il modo in cui ci si rialza.

Che piaccia o no, sport, musica e arte, sono le ultime espressioni di quel linguaggio universale che si respira nel Villaggio Olimpico che, a sua volta, è la collocazione sulla mappa geografica dell’isola di Utopia, proprio come quella di Tommaso Moro.
Un non-luogo dove la Palestina vede Israele non attraverso un muro, ma dalla finestra, dove uno scandinavo corre dietro a un giamaicano per chiedergli una foto, dove un cestista americano milionario sta alla mensa, con il suo vassoio in mano, in fila dietro al suo collega del Sudan del Sud. E non gli viene neppure in mente che potrebbe passargli davanti. Il fascino e la bellezza di questa isola di Utopia compare ogni quattro anni, per un paio di settimane. Poi, così come accenderà i nostri occhi il primo giorno, si dissolverà nel nulla. Serviranno altri quattro anni per andarsela a cercare, quell’isola, e per riconquistarla. Quattro anni di fatica, fatica, fatica sapendo che, anche se hai faticato tutto il faticabile, arrivarci non sarà per nulla scontato. Sapendo che faticherai per migliaia e migliaia di ore per mettere tutto alla prova in un momento che durerà pochi istanti: una corsa, un lancio, un canestro, una schiacciata. Che mondo sarebbe se questi atleti, capaci di raggiungere e vivere l’utopia che diventa realtà del Villaggio Olimpico, diventassero classe dirigente dei loro rispettivi Paesi? Rispondo senza retorica: sarebbe un mondo migliore, un mondo consapevole che anche ciò che sembra impossibile può diventare realtà.

Il 26 luglio del 2024, domani, l’isola riapparirà, a Parigi. Sarà stato, per i nostri oltre 400 atlete e atleti, un viaggio lungo e meravigliosamente faticoso quello per arrivarci, ma la fatica, oltre ad essere medicina del mondo, è anche la grammatica necessaria per scrivere le grandi storie. Prepariamoci ad ascoltarle, a farne nostro nutrimento. E immaginiamo che succeda ciò che è stato auspicato da tanti, a partire dal Santo Padre: almeno per queste due settimane, nel mondo, tacciano le armi. È possibile. Anzi è successo, senza interruzioni né eccezioni, dal 776 a.C. al 393 d.C. È successo per 1168 anni di storia dell’umanità, durante i quali lo sport ha saputo fermare le guerre: più o meno il tempo che è passato dall’incoronazione di Carlo Magno al mondo di internet. Nel solo ‘900, invece, per tre volte la guerra ha fermato i Giochi. Tuttavia, non ha fermato mai la forza e l’ispirazione di quel fuoco che fra poche ore si accenderà. Sta per ricominciare la cosa più bella del pianeta. E, quando fra due settimane il fuoco di Olimpia si spegnerà, lo sport continuerà a insegnare che ciò che conta, ciò che fa la differenza, è il fuoco dentro.