Il Papa in Egitto. L'abbraccio-messaggio del Cairo: il segno fraterno
Bisogna andare a rivederselo nei video sul web, l’abbraccio tra papa Francesco e il grande imam di al-Azhar, Ahmed al-Tayyib, la massima autorità dell’islam sunnita. È qualcosa che stupisce, perché non è il gesto formale fra due sconosciuti, ma un abbraccio vero di due uomini che si stringono l’uno all’altro, mentre le mani destre si serrano in una stretta calorosa. E intanto la sala del Conference center di al-Azhar rumoreggia e applaude. Non c’è niente di finto in quell’incontro, pure dopo anni di incomprensioni, pure nel contesto di un paventato scontro di civiltà, mentre Oriente e Occidente sono dilaniati da attentati terroristici.
Come ha fatto Francesco, viene da domandarsi stupiti, quale è il segreto. Forse è nell’amore con cui parla dell’Egitto? «Terra di incontro tra cielo e terra, di alleanze fra le genti», terra dove risuonò sul Monte Sinai «rivolto a uomini e popoli di ogni tempo, il comando: "Non uccidere"».
Francesco ricorda all’Egitto la grandiosa sua storia, e anche che proprio sul suolo egiziano trovarono rifugio Maria, Giuseppe e Gesù, bambino: ospitalità che «è fonte di abbondanti benedizioni, che ancora si estendono». Forse il segreto di Francesco sta allora nel rammentare all’altro ciò che ha di buono, e di grande? Quasi in un abbraccio di madre, che ricorda, del figlio, solo il bene.
«Viviamo sotto il sole unico di Dio misericordioso... in questo senso possiamo dunque chiamarci fratelli e sorelle». Qui il Papa cita Giovanni Paolo II in Nigeria, nel 1982. Poi chiede l’intercessione di san Francesco, che otto secoli fa incontrò in Egitto il sultano al-Malik al-Kamil. Quell’abbraccio così vero fa pensare a chi guarda che anche questo sia un incontro che si iscrive nella storia. Nel momento in cui il terrorismo islamista insanguina l’Occidente, e in Oriente e nel mondo perseguita i cristiani e altri credenti e no, il Papa va in Egitto come uomo di pace, pace vera.
Nel discorso alle autorità del Paese ricorda «il dovere di smascherare i venditori di illusioni circa l’aldilà, che predicano l’odio per rubare ai semplici la loro vita presente e il loro diritto di vivere con dignità, trasformandoli in legna da ardere». Chiaro e franco riferimento ai ragazzi delle banlieue europee, gonfiati di odio da cattivi maestri.
«L’Egitto – conclude il suo discorso alle autorità – che al tempo di Giuseppe salvò gli altri popoli dalla carestia è quindi chiamato anche oggi a salvare questa cara regione dalla carestia dell’amore e della fraternità; è chiamato a condannare e a sconfiggere ogni violenza e ogni terrorismo; è chiamato a donare il grano della pace a tutti i cuori affamati di convivenza pacifica».
Il metodo di Bergoglio è dunque richiamare ai popoli e agli uomini la nobiltà dei lombi, della storia da cui provengono, e quindi la statura delle sfide cui sono chiamati? Come un padre che dica a un figlio in crisi: ricordati la tua storia, e tutto il bene da cui vieni.
Ma una breve frase rivolta ai giovani egiziani racconta forse ancora meglio il "segreto" di Francesco. Dice il Papa ai ragazzi: vorrei darvi la benedizione, ma voi in silenzio pensate a chi amate di più, e anche alle persone a cui non volete bene, e pregate per gli uni e per gli altri. Pregare per quelli che non si amano, pregare per chi consideriamo nemico: nel primato della carità, nell’«estremismo della carità». Forse in questo sta la forza di un uomo che capovolge i cliché e sa abbracciare davvero; uno che abbraccia forte, come ci si stringe tra fratelli. Per questo l’incontro tra papa Francesco e il grande imam sunnita a guardarlo ci meraviglia: perché diresti che quei due sono amici, davvero. E dimostrano ai "mondi" che più d’uno vorrebbe separati e inconciliabili che cos’è essere e sentirsi fratelli.