Opinioni

Editoriale. Papa Francesco e i ponti da ricostruire

Andrea Riccardi venerdì 15 marzo 2024

Due anni di guerra in Ucraina hanno insegnato qualcosa? La guerra sembra riabilitata come strumento per raggiungere i propri obbiettivi o risolvere i conflitti, mentre la pace è troppo spesso considerata un sogno da anime belle o un’utopia del passato. Non si trova la via per uscire dalla morsa che attanaglia gli ucraini: bombardamenti, profughi, morti, feriti, mutilati. In due anni poi sono scoppiate nuove guerre. Dal 15 aprile 2023, con la battaglia di Karthoum, in Sudan, c’è guerra tra le forze armate e le Rapid Support Forces, i paramilitari del generale Dagalo, detto Hammedti, mentre un milione e mezzo di sudanesi si sono rifugiati all’estero.
Il 7 ottobre scorso, l’attacco terroristico di Hamas a Israele ha violentemente riacceso il conflitto israelo-palestinese: restano ancora prigionieri una parte degli ostaggi israeliani e Israele combatte Hamas a Gaza, dove si addensano più di due milioni di palestinesi in condizioni drammatiche, come ostaggi del conflitto. In connessione a questa crisi, gli Houthi hanno cominciato unilateralmente a colpire le navi occidentali nel Mar Rosso, dove transita il 12% del commercio globale e il 30% di quello con container. Qui una coalizione di dieci Paesi, tra cui gli Stati Uniti e l’Italia, difende direttamente i trasporti dai missili houthi.
In Africa, il mito dell’anticolonialismo fonda la contrapposizione di vari Paesi all’Occidente con la conseguente apertura alla presenza militare russa, come la Guinea Conakry, il Burkina Faso, il Niger, tutti guidati da militari. Il terrorismo jihadista globale ha oggi come epicentro il Sahel, sfruttando la debolezza degli Stati della regione. Il Nord del Mozambico è minacciato dalla guerriglia islamista, che trova scarsa resistenza nel debole esercito mozambicano. Altre crisi sono aperte nel resto del mondo. Basterebbe ricordare la Siria, un Paese martoriato da più di dieci anni di combattimenti sanguinosi, che ancora non ha ritrovato la pace.
Il mondo non è solo segnato da gravi crisi, ma ha smarrito la pace come orizzonte delle relazioni tra i Paesi. I discorsi bellicosi si moltiplicano. Paesi grandi, come Russia, Stati Uniti, sono in qualche modo schierati o coinvolti nei conflitti. Così quelli europei. È impressionante la saldatura dei conflitti tra loro: dalla crisi israelo-palestinese allo Yemen in pochi mesi. Si è temuto un allargamento della crisi per l’iniziativa degli Hezbollah libanesi, ma non è avvenuto. Intanto circola nel mondo troppo odio: l’antisemitismo che si riaccende, la violenza contro i cristiani per affermare l’identità radicale, la contrapposizione ai migranti come invasori, l’identificazione del bianco nell’antico colonialista…
C’è in noi, nei nostri Paesi europei, confortati da tanti decenni di pace, non coinvolti nei conflitti se non a distanza, una pigrizia che non fa vedere i rischi, scossa al massimo da qualche azione terroristica. Ma il futuro non sarà come il passato. La situazione è esplosiva: non è facile continuare a vivere in pace tra tanti focolai di guerra, che rischiano di comunicare l’incendio, o tra tanti odi e contrapposizioni di popoli che, pur avvicinati dalla globalizzazione, si sentono lontani, si detestano, non si pensano insieme. Le guerre si eternizzano, quindi sono a rischio di allargamento. Ci si interroga sul futuro della guerra in Ucraina: una guerra più grande dell’attuale o l’abbandono dell’Ucraina a sé stessa, come avvenne con l’Afghanistan (dopo vent’anni di impegno militare e tanti morti)?
Le “tensioni unitive” sono dimenticate, eppure erano così importanti per superare le distanze. Anche l’ecumenismo è in grave crisi. Ortodossi russi e patriarcato di Costantinopoli hanno rotto le relazioni tra loro a causa del riconoscimento della Chiesa autocefala ucraina. Russi e copti hanno rivisto le loro relazioni con Roma dopo la Fiducia supplicans. Eppure, con la rivoluzione globale, con l’esperienza anch’essa globale della pandemia, abbiamo oggi la percezione che “siamo tutti sulla stessa barca”, come disse papa Francesco con parole toccanti in un momento difficile dell’epidemia di Covid.
Non si può lasciar scivolare il mondo verso una guerra più grande. Certo ci sono tante “battaglie” da combattere: c’è la comunità internazionale da ricostruire. Bisogna rilanciare una grande iniziativa di pace, ripristinare i ponti, veicolare la coscienza che la guerra è una sconfitta per tutti. In questo senso si muove papa Francesco, criticato da tanti schierati in una logica di guerra, anche cattolici che hanno dimenticato quanto il Papa sia una grande risorsa per un mondo più umano e per una Chiesa più evangelica. Tuttavia ci sono ancora nel mondo tante potenzialità diplomatiche, intellettuali, umane, spirituali, per ricostruire le relazioni internazionali nel senso della pace, per costringere chi fa la guerra a fermarsi e mostrare ai piccoli e ai grandi che la pace è l’interesse comune.