Il direttore risponde. Paolo VI: la fiction tv e la realtà storica
Giuseppe Del Frate, Chiari (Bs))
Caro Direttore,permettetemi di affiancarmi al mitico Lupus nel giudizio riguardo la fiction su Paolo VI recentemente propinataci dalla Rai. Oltre all’immagine di Papa Montini come di un idealista sconfitto dalla realtà, non approvo assolutamente la maniera semplicistica con cui sono stati descritti il cardinale Tisserant (il quale era ben più intelligente del bieco reazionario che è stato tratteggiato) e di altri personaggi aventi un’opinione anticomunista; opinione che non è stata ricostruita in tutta la sua complessità e soprattutto dignità. Evidente bisognava obbedire ai soliti cliché, che fanno tanto piacere ai progressisti e un po’ meno alla verità storica. Altre vittime illustri di tali cliché sono stati il ritratto di Milano (chi le ha mai viste le favelas per meridionali a Sesto San Giovanni? Gli immigrati hanno trovato al loro arrivo le case Aler), che pareva la triste Londra di Oliver Twist, e la vicenda delle elezioni comunali del 1952: dopo una descrizione equilibrata dell’operato precedente, improvvisamente Papa Pio XII diventa un nevrotico che sbraita contro una mancata alleanza tra Dc ed Msi, senza spiegare i motivi profondi per cui era stato proposto tale connubio (ovvero i primi segnali di laicizzazione di quello che era stato pensato come il partito dei cattolici). Mi si conceda infine di criticare la maniera con cui è stato liquidato lo scisma lefebvriano: due battute (uguali) e uno scatto d’ira di un monsignor Lefebvre hanno ridotto a macchietta una delle vicende più drammatiche della storia religiosa del XX secolo. Un prodotto quindi ben girato, ma carente nei contenuti.Michele Brambilla, Cassina de’ Pecchi (Mi)
Su un medesimo argomento, cari lettori, le vostre opinioni non avrebbero potuto essere più dissonanti. La vostra diametrale diversità di giudizio è la conferma di quanto sia difficile fare buona televisione divulgativa accontentando un po’ tutti. Impossibile riscuotere unanimità di reazioni soprattutto quando si ha a che fare con figure storiche gigantesche come quella di Paolo VI, la cui ricchezza e complessità avrebbe fatto tremare i polsi al più esperto sceneggiatore. Nelle sue pagine riservate agli spettacoli e all’intrattenimento televisivo – così importante nella società d’oggi – «Avvenire» non ha mancato di rilevare, in sede di commento, le varie imprecisioni e parzialità che hanno punteggiato la fiction in questione, l’ennesima dedicata a un personaggio della Chiesa italiana del Novecento (basti pensare ai vari seguitissimi «serial» sui pontefici del nostro tempo, Roncalli, Luciani, Wojtyla, nonché a quelli – altrettanto fortunati – sui santi Bosco e Pio da Pietrelcina). Evidentemente si tratta di un filone popolare, «remunerativo» in termini di ascolto. Su tale filone ben vengano le ricostruzioni biografiche, nella consapevolezza che quello del piccolo schermo è un linguaggio sui generis, che predilige – per forza di cose – i toni romanzati, le tinte forti e le semplificazioni, talora eccessive, stereotipate. Nel caso dell’opera su Montini, lo stesso presidente dell’Istituto Paolo VI, professor Giuseppe Camadini, ha pronunciato parole di apprezzamento sulle potenzialità divulgative della televisione, ricordando però che la verità storica non è (quasi mai) un romanzo. È stato un pontefice che con la sua grandezza ha impresso una traccia indelebile nella Chiesa contemporanea, protagonista di fatti cruciali del suo tempo, sia ecclesiali – ovviamente –: dal Concilio al dialogo ecumenico; sia sociali: dal’68 alla tragedia del terrorismo... Ricostruire con oggettività la sua figura era impegno che necessitava del massimo rigore di documentazione e, insieme, di un’accurata verifica delle fonti e delle tesi. In parte è stato fatto, in parte no. La strada per salvaguardare la qualità di queste produzioni è tracciata con sufficiente chiarezza: ovvero l’accuratezza storica e il rispetto sia della materia sia del pubblico, nella coscienza che basta pochissimo per trasformare il formidabile strumento televisivo in un altare o, al contrario, in una gogna. E tuttavia ci sono due considerazioni un po’ esterne al prodotto che, con l’occasione, mi sento di fare. La prima: per quanto imprecisa, la fiction è stata un’occasione importante per evocare una figura come Papa Montini, troppo emarginata, a soli trent’anni dalla morte. La seconda considerazione: milioni di persone per due sere sono stati trattenuti davanti alla tv non per spettacoli vacui ma per il racconto di una vita evangelicamente rimarchevole. Non male, direi, per un’Italia che molti vorrebbero irrimediabilmente ex cattolica.