Per i piccoli, oltre i clan, nella città. Un bruciante seme di futuro
Se è vero che i bambini rappresentano il futuro del mondo, l’acqua che irrora la pianta umana, il senso stesso della nostra vita, allora i vandalismi e le intimidazioni di questi giorni nel quartiere Brancaccio a Palermo, dove l’asilo nido sognato da don Pino Puglisi nascerà sui terreni confiscati alla mafia, sono veleno sulle radici di ognuno perché impediscono la crescita di tutti. Se un gruppo, di qualsiasi tipo, provoca ostacolo e separazione, genera tracotanza e soperchieria, dobbiamo fare in modo di scioglierlo. Sotto gli emblemi s’annida la vanagloria. Nella protervia del capo bastone si nasconde il desolante opportunismo della maggioranza.
Inutile sottolineare la dimensione simbolica che avrebbe l’inaugurazione dell’asilo per lungo tempo voluto dal prete ucciso la sera del suo cinquantaseiesimo compleanno, ventisei anni fa, nei luoghi dov'era nato. Stiamo parlando di uno dei più grandi educatori italiani, beatificato il 25 maggio 2013: cristiano dei tempi nuovi, non teorico ma concreto, pronto a bruciare dentro la propria passione profetica, consapevole della forza trainante dell’azione missionaria, uomo del qui e ora, non chissà dove e quando, proveniente dal basso come gli adolescenti smarriti ai quali si rivolgeva, questo martire della fede novecentesca sembra quasi combattere ancora attraverso le tante persone che oggi si ispirano a lui. È vero: dal sacrificio di uno, può scaturire l’impegno di molti. Ma i furti, le manomissioni e i roghi avvenuti nelle ultime ore, sotto gli occhi complici di troppa gente, all'interno degli spazi recintati dove sorgerà il nuovo ostello palermitano, ci spingono a non farci soverchie illusioni.Don Puglisi concentrava i suoi sforzi soprattutto per salvare i bambini prima che venissero intercettati dai gruppi malavitosi del quartiere, alla ricerca inesausta di una soluzione radicale alla corruzione dilagante, eppure sapeva che la lotta contro la stupidità e l’arroganza non finirà mai. Tuttavia non si fermava.
Dobbiamo ripartire dal suo esempio eroico. Basta evitare che soltanto uno dei più piccoli compia il passo falso destinato a perderlo, per creare un punto di resistenza intorno al quale altri potranno edificare pietre angolari capaci di sostenere pesi che noi non possiamo sopportare.È questa, mi sembra, la coralità sociale e politica che, non da oggi, i sindaci più coraggiosi del nostro Sud intendono realizzare. Mafia, camorra, delinquenza e criminalità si contrastano soprattutto con l’educazione e, dunque, a scuola, nel punto di maggiore potenza propulsiva della specie cui apparteniamo, poi certo anche nelle aule di tribunale, ma se vogliamo ottenere tutto e subito, rischiamo di non comprendere che ogni vittoria non sarà mai completa, le scorie resteranno sempre, nelle nostre tasche, mischiate alle pietre preziose. Ecco perché i ragazzini di circa dieci anni che nei giorni scorsi hanno fatto irruzione nel terreno dove nascerà la struttura di accoglienza dell’asilo di Brancaccio minacciando i responsabili del centro "Padre Nostro" con le tipiche frasi del gergo mafioso ("Ca’ tu un ci costruisci"), sebbene non abbiano mai conosciuto quel prete di cui forse hanno soltanto sentito parlare, sembrano richiamarlo in vita facendoci riflettere, ancora una volta, sul valore della frase di Giovanni (15,13) scolpita nella sua tomba nel cimitero di Sant’Orsola: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici».
L’amicizia senza ricambio, che non fa conto della risposta positiva da parte di chi la riceve, sembra superare i limiti della medesima esistenza, trasferendo su di noi, venuti dopo, l’esigenza insopprimibile di don Puglisi: raccogliere da terra i fiori calpestati, sì, ma pure l’erba sporca, il sasso infangato. E andare avanti lo stesso, più forti di prima, anche quando sembra di dover ricominciare sempre da capo. Soltanto così l’asilo di Palermo, come nucleo etico nella periferia sconsolata, potrà diventare un bene di tutti.