Pacifismo senza dubbi? No, umana e cristiana resistenza alla guerra
Caro direttore,
sono abbonato ad “Avvenire” da molti decenni e confesso il mio disorientamento per la posizione pacifista assunta, che non sembra concedere spazio nemmeno al dubbio su cosa si debba fare per far smettere questa orrenda guerra voluta da Putin. Conoscendo e frequentando il mondo russo e ucraino dal 1970, non ho dubbi: il chiedere pace giova a Putin e al suo sodale, il patriarca Kirill. Non può che rafforzare il loro convincimento omicida puntando ad annettere pezzi di Stati sovrani e sognando un impero che comprenda magari la Moldavia e i Paesi baltici. Una guerra santa contro l’Occidente corrotto che può essere spenta, ahimè, solo nel sangue e non sventolando bandiere arcobaleno della pace. Invocare la trattativa “alla pari” mi sembra un atto osceno che premia l’aggressore. Ma lei non sembra avere dubbi al riguardo. Lei cita – e dà spazio a chi lo fa come lei – casi di “vittorie nonviolente” (Sudafrica, Danimarca, Cile, Polonia, Stati Uniti). Esempi non pertinenti: poteri coloniali già insediati che la reazione popolare è riuscita a scrollarsi di dosso, mentre in Ucraina si registra invece l’invasione di uno Stato sovrano da parte di un altro Stato. La saluto con cordiale dissenso.
Lorenzo Fellin, Padova
Caro professor Fellin,
negli otto lunghi, duri e tristi mesi della nuova e terribile fase della guerra d’Ucraina scatenata dall’invasione decisa da Putin ho risposto a diverse lettere del tenore di questa che lei torna a inviarmi. In genere, cerco di non ripetermi. Ma stavolta lo farò, per la stima che ho per lei e per la simpatia che la sua passione civile sempre mi suscita.
Non è vero che io non abbia dubbi. Sono un giornalista e, dunque, faccio e mi faccio sempre domande. Così pure di fronte a misfatti e ad ambigue operazioni propagandistiche. Ecco perché ho detto e scritto più volte che non capisco quelli che dicono di mantenere una posizione “senza se e senza ma”. Io ce li ho, i se e i ma, e cerco di fare i conti con la realtà. E la realtà dice, anzi grida, che la guerra fa male a tutti, e questa guerra d’Ucraina fa male soprattutto (anche se non solo) agli europei, dell’Est e dell’Ovest. La pace invece giova a tutti, non solo a Putin. Soprattutto la pace giova a coloro che, da una parte e dall’altra, stanno soffrendo e morendo sui campi di battaglia o sotto i bombardamenti condotti con cannoni, droni e missili o nelle barbare e volgari violenze che sempre costellano le guerre, che non son più (ammesso e non concesso che lo siano mai state) scontri cavallereschi. La pace giova a coloro che sono mandati a uccidere o a essere uccisi, e che non vogliono morire né dare la morte. Giova alle loro famiglie. Giova agli innocenti, primi tra tutti coloro che muoiono di fame per le prepotenze e gli orgogli degli altri.
Dire questo significa essere equidistanti tra le parti e non riconoscere torti e ragioni? No, significa – per riprendere un bell’aggettivo usato da Andrea Tornielli a commento del magistero sulla pace del Papa – essere «equivicini». Noi stiamo dalla parte di chi vuol far tacere le armi subito e si spende per fermare un’escalation che, nei quartier generali di Mosca e d’Occidente, spinge a formulare persino aperte minacce di far ricorso alle famigerate armi nucleari. E questo l’ho scritto da subito, in prima persona, sulla prima pagina di “Avvenire”: era il 26 febbraio 2022 e il nuovo e massiccio attacco russo era appena iniziato, ma la sanguinosa follia di uno scontro rinnovato, aggravato e destinato a durare nel tempo era già chiara a chi voleva vedere i fatti e chi (come noi) conosceva e spiegava gli antefatti: «Non c’è dubbio da che parte stare. Stiamo con le vittime: l’Ucraina, per prima, perché se un Paese dev’essere annientato, quel Paese è anche la nostra terra, la patria a cui non possiamo rinunciare. E stiamo con ogni singolo caduto, cittadino o soldato, quale che sia la divisa e la bandiera. Stiamo con ogni uomo e ogni donna ingoiati, o sfregiati, dal Moloch riacceso. E stiamo con chi dice e fa pace, e non si rassegna al macello: papa Francesco – la voce più umile, alta e forte – e un popolo di persone, famiglie comunità, reti di amicizia e d’impegno. Sono coloro che osano l’inosabile, che non hanno paura di sembrare fuori dalla cronaca e dalla storia».
Questa è la linea di “Avvenire” e questa è la causa per la quale mi spendo anche personalmente.
Quanto alle sue obiezioni contro gli esempi di coraggiosa resistenza nonviolenta che faccio e faccio fare, le trovo io non pertinenti. Lei è colto e saggio più di me, ma forse non abbastanza saggio da riconoscere la “guerra” nei diversi modi con cui viene condotta contro i popoli e le persone (invasione militare: ieri in Danimarca come oggi in Ucraina, golpe e regime militare di destra: come mezzo secolo fa in Cile, totalitarismo sovietico: come in Polonia, feroce discriminazione razziale: come nella grande e ferita democrazia Usa e come nell’apartheid del Sudafrica di allora). E forse lei non ha abbastanza fiducia per riuscire a “vedere” i diversi modi di affrontare il mostro della sopraffazione in armi e persino di vincerlo, senza però scatenare l’inferno sulla terra. Putin è un aggressore e ha torto, ma osceno – riprendo un suo aggettivo – per me è pensare ancora che “bisogna far giustizia cascasse il mondo” (fiat iustitia et pereat mundus). Eh no! Bisogna far giustizia perché il mondo non finisca (fiat iustitia ne pereat mundus) e oggi davvero corriamo sull’orlo dell’abisso.
Perciò dobbiamo sovvertire la logica della guerra, primo passo per non arrenderci al male. Non pretendo di convincerla, ma neanche lei pretenda di convincermi che questa visione e questo impegno è una cosa nuova per noi cristiani e per ogni uomo e donna di buona volontà, comunque creda e comunque la pensi. Grazie ancora una volta al Papa e al magistero potente suo e dei suoi predecessori sulla resistenza alla guerra.