Signor direttore,davanti a ogni vita umana stroncata è doveroso un rispetto profondo. Ma proprio in nome di tutte le vittime delle guerre, chissà quanti lettori di Avvenire sono rimasti scossi per quell’intera pagina dedicata agli «eroi per la pace», e a quella realtà così «convergente» di soldati e cristiani (8 agosto, pagina 3). Ecco, lo diciamo forte: è davvero insopportabile questa retorica sulla guerra sempre più incombente e asfissiante. Da sempre l’esperienza cristiana ci ha impegnato nella cura della «missione» e ci scandalizziamo ogni volta che un cristiano infanga questo valore confondendolo con le guerre – chiamate appunto «missioni di pace» –, ma in realtà avventura senza ritorno. Da sempre abbiamo presentato ai cristiani gli eroi della fede e ci scandalizziamo se ora volete rappresentarli con le armi in mano e, per nascondere le responsabilità di tanto sangue versato in questa «inutile strage», fate diventare «eroi per la pace» questi giovani strappati alla loro vita, vittime della guerra. Ci colpisce non veder affiorare nemmeno uno degli interrogativi che gli italiani e i cristiani si pongono ormai da anni, assistendo alla fallimentare carneficina afghana: la nostra presenza militare in Afghanistan costa due milioni di euro al giorno, e quali sono i risultati? Se li avessimo investiti in aiuto alla popolazione con ospedali, scuole, acquedotti non avremmo forse tolto consenso ai taleban e ai signori della guerra? E delle vittime in "campo nemico" chi se ne occupa? Abbiamo i numeri esatti dei morti e feriti italiani! E quante sono le vittime irachene o afghane? Forse dobbiamo rassegnarci a considerare le migliaia di esseri umani uccise in questa assurda guerra solo «effetti collaterali»? Ci colpisce molto leggere che anche l’Ordinario militare si allinea a questa retorica della guerra dichiarando, per esempio che fare il militare è «una professione aperta al bene comune e allo sviluppo della famiglia umana» oppure sostenendo che «i cappellani militari sono parroci senza frontiere, impegnati in una pastorale specifica sul fronte della pace». Ce ne vuole davvero a descrivere «l’aeroporto di Ciampino dove arrivano le salme dei nostri soldati uccisi» come «una scuola di fede». E ancora: «Essere cristiani ed essere militari non sono dimensioni divergenti». Come cristiani e come sacerdoti restiamo stupiti per questo assai strano insegnamento magisteriale e, alla luce del Vangelo, siamo sconcertati. Siamo certi che anche lei, direttore, oltre che ovviamente il vescovo Pelvi, ben conosca la sapienza ecclesiale, supportata dal Magistero della Santa Sede, che ci ha insegnato a discernere i diversi modi di affrontare i conflitti internazionali, a partire dalle testimonianze dei primi martiri cristiani, che rifiutavano il servizio militare e non bruciavano il grano d’incenso all’Imperatore considerato una divinità.Il 9 agosto la Chiesa ricorda il Beato Franz Jägerstätter, obiettore di coscienza contro il servizio militare nel III Reich di Hitler (mentre la maggior parte dei cattolici combattevano) e per questo ghigliottinato il 9 agosto 1943. È stato Papa Benedetto XVI, nel 2007, a proclamarlo beato e martire nel suo opporsi al servizio militare e alla guerra! A 50 anni dall’apertura del Concilio Vaticano II crediamo doveroso riaprire una riflessione seria sulla condanna della guerra e sulle strade che sono chiamati a percorrere gli operatori di pace.
don Nandino Capovilla, don Renato Sacco e altri 28 sacerdoti