Clima. Perché la Cop29 è un esempio (complicato) di come il mondo può agire insieme
Un momento della Cop29 a Baku
«Non c’è tempo per l’indifferenza». Il riscaldamento globale è una delle «questioni più urgenti del nostro tempo» ed è strettamente collegata alla salvaguardia della pace. Il messaggio rivolto alla Cop29 da papa Francesco, per bocca del cardinale Pietro Parolin, è un corollario dell’intuizione-guida dell’enciclica Laudato si’: «Non ci sono due crisi separate, una ambientale ed un’altra sociale bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale».
Sulle aree del pianeta e i gruppi più fragili, il fardello dell’emergenza ecologica grava con maggiore crudeltà in termini di distruzione dell’economia di sussistenza e conseguente aumento degli esodi, inasprimento delle tensioni e della competizione, interna e internazionale, per le risorse sempre più scarse. Tutto ciò ha – evidentemente – un impatto geopolitico. Un aspetto che il Pontefice ha approfondito prima in Fratelli tutti e poi in Laudate Deum, fino a fare, negli interventi recenti, del binomio pace-clima un leitmotiv ricorrente.
Nell’ultimo decennio, del resto, politologi e centri di ricerca fra i più accreditati - tra cui il Norvegian institute of international affairs (Nupi) e il Stockholm international peace research institute (Sipri) - hanno dedicato ampio spazio all’indagine del nesso, fortissimo, tra crisi climatica e moltiplicazione dei fronti bellici. A partire dal 2017, tale legame è stato esplicitato in oltre settanta risoluzioni e dichiarazioni della presidenza del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Dal Sudan ad Haiti, dall’Afghanistan al Congo, decine e decine di tragici esempi sono disseminati per il mappamondo. Francesco, però, sottolinea anche un altro aspetto, meno immediato, della rottura della relazione di fraternità con l’altro, inteso come essere umano o natura.
Il clima impazzito, descritto in modo inconfutabile dalla scienza, si riflette nel «clima di sfiducia e divisione che non risponde alle esigenze di un mondo interdipendente». E, paradossalmente, la “cura” per la malattia del pianeta e dei suoi popoli si basa sul medesimo protocollo: il multilateralismo. Il Papa lo aveva già detto nel messaggio allo scorso vertice ambientale di Dubai (Cop28). Stavolta, però, alla luce di una conflittualità globale sempre più inquietante, il suo appello assume un valore dirompente.
Il clima e i summit a esse dedicato sotto l’egida Onu sono uno degli ultimi banchi di prova della possibilità di cooperazione fra gli Stati. Per mantenere le temperature sotto – o, in base agli ultimissimi e preoccupanti dati – quantomeno vicino alla soglia di equilibrio di 1,5 gradi, occorre uno sforzo comune. Nessuno, da solo, può raggiungere risultati significativi. Questo vale sia per la lotta alle emissioni sia per la mobilitazione di una finanza in grado di supportare la transizione energetica.
Le Cop, incluso quella attuale, riuniscono a uno stesso tavolo, rivali strategici e veri e propri nemici. Questa è la loro forza. E anche la loro debolezza. Le discussioni sono estenuanti, i meccanismi farraginosi, le decisioni drammaticamente imperfette, i passi avanti lentissimi. Finora, però, i 197 Paesi parte più l’Ue li hanno fatti insieme. Con tutti i limiti, è la dimostrazione che ha ancora senso cooperare tra diversi o opposti per il raggiungimento di un obiettivo che va al di là del tornaconto immediato. Il processo, purtroppo, non è irreversibile. I muri, fisici, giuridici, metaforici, che vanno lacerando la pelle del villaggio globale rischiano di spezzare i fili sottili fra pezzi di pianeta. Per questo, è più importante che mai salvaguardare ogni spazio possibile di incontro multilaterale nella speranza – afferma Francesco – che «l’umanità all’alba del ventunesimo secolo venga ricordata per avere assunto generosamente le sue gravi responsabilità».
Ha un che di poetico il riferimento all’alba, proprio in un momento in cui il mondo fatica a vedere luce in fondo al tunnel. Ma, come papa Bergoglio ha detto nella Moschea di Giacarta, dove ha firmato un testo proprio su pace e clima, «noi credenti, che apparteniamo a diverse tradizioni religiose, abbiamo un ruolo da svolgere: aiutare tutti ad attraversare il tunnel con lo sguardo rivolto verso la luce». Anche e, forse, soprattutto, quando questa è fioca.