Crisi pandemica e scelte responsabili. Overshoot day: prove di svolta
Le notizie sono due: una buona e una cattiva. La notizia buona è che la corsa si è fermata. La corsa alla corrosione del pianeta che l’Overshoot Day esprime in maniera così magistrale indicandoci il giorno dell’anno in cui abbiamo "esaurito" tutta la terra fertile disponibile. Non una risorsa qualsiasi, ma quella da cui dipende la nostra intera esistenza, perché quando si dice terra fertile si dice vegetazione e quindi cibo, pascoli, assorbimento di anidride carbonica. Per ritrovare un anno in cui la terra fertile disponibile ci è bastata fino al 31 dicembre, bisogna risalire al 1970. Dopo di che la data di esaurimento ha cominciato a indietreggiare fino ad arrivare, l’anno scorso, al 29 luglio. Finalmente quest’anno abbiamo registrato un’inversione di tendenza: l’Overshoot Day si è spostato in avanti al 22 agosto, proprio oggi. E anche se lo sbilanciamento continua a essere di 131 giorni, il segnale è di grande importanza perché ci conferma che ritrovare l’equilibrio è possibile. Basta volerlo.
E qui veniamo alla seconda notizia, quella cattiva: non abbiamo migliorato la situazione per scelta, ma per costrizione. È stata una conseguenza del lockdown, la quarantena collettiva attuata per ostacolare l’avanzata del coronavirus. Una quarantena, praticamente mondiale, che ha avuto un impatto enorme su produzione, trasporti, perfino consumo di energia elettrica e quindi sul bisogno di terra fertile. I numeri forniti dall’Ocse lo testimoniano: nei primi quattro mesi del 2020, i voli aerei sono crollati dell’89%, i trasporti su strada del 50%, il consumo di energia elettrica in media del 15% con l’Italia addirittura al 28%. Una contrazione avvenuta non solo in Europa, ma anche in Cina, Stati Uniti, Australia e tutti gli altri Paesi colpiti dal virus. Colpo durissimo sul piano economico, ma sollievo sul piano ambientale: secondo i calcoli della rivista Nature Climate Change, nell’aprile 2020 le emissioni di CO2 sono diminuite del 17% come conseguenza delle restrizioni imposte dalla pandemia. C’è una relazione diretta fra Overshoot Day e carbonio: più eccesso di anidride carbonica produciamo, più alberi, e quindi più terra fertile, ci servono per eliminarla. Nel 1970 l’anidride carbonica prodotta dall’attività umana ammontava a 15 miliardi di tonnellate, oggi ne produciamo 37 miliardi, più del doppio. E gli effetti si vedono: ogni anno si accumulano in atmosfera una quindicina di miliardi di tonnellate di anidride carbonica che non riesce a essere assorbita né dal sistema naturale terrestre, né da quello oceanico.
Di fatto, dovremmo dimezzare la CO2. Un’altra buona notizia è che esistono modi per farlo senza compromettere la dignità della nostra esistenza. L’importante è che tutti facciamo la nostra parte: come singoli, come imprese, come governi. A livello individuale dobbiamo cambiare i nostri stili di vita orientandoli alla sobrietà, che non significa rinuncia, bensì sovranità: passaggio da un consumo pilotato dalla pubblicità a un consumo definito da noi stessi in base a criteri di razionalità, sostenibilità e giustizia. La sobrietà, infatti, è la capacità di liberarsi dell’inutile e del superfluo. Un obiettivo che si raggiunge sostituendo i prodotti usa e getta con quelli durevoli e riparabili, preferendo i prodotti locali a quelli globali, acquistando prodotti con imballaggi leggeri e riciclabili invece che abbondanti e irrecuperabili, utilizzando mezzi di trasporto ad alimentazione muscolare ed elettrica invece che petrolifera, utilizzando beni acquistati in comune piuttosto che singolarmente.
È il classico "voto col portafoglio", che le imprese non possono ignorare. E infatti molte di loro si stanno convertendo a forme produttive che tengono conto non solo della sostenibilità finanziaria, ma anche di quella sociale e ambientale. Scelte ispirate alle energie rinnovabili, al contenimento dei rifiuti, al recupero delle materie prime e a tutti gli altri princìpi espressi dall’"economia circolare" cara a papa Francesco e che gli imprenditori più responsabili proiettano oltre i confini aziendali.
Il senso di responsabilità è l’ingrediente più prezioso di qualsiasi società, ma per affermarsi ha bisogno di educazione, stimolo, guida. Di qui l’importanza dell’azione di governo che può e deve agire attraverso la scuola, il sistema fiscale, la spesa pubblica. Leve da utilizzare in maniera sinergica. Nella pratica, però, c’è disparità di impegno. Dopo i rischi di recessione provocati dalla pandemia, lo strumento a cui i governi stanno ponendo maggiore attenzione è la spesa pubblica. Uguale attenzione andrebbe dedicata a scuola e fiscalità. In un caso, riformando i programmi scolastici affinché le questione ambientali e il tema degli stili di vita trovino spazio adeguato. Nell’altro, adeguando i meccanismi esistenti alle sfide che ci attendono. Un tema fiscale di particolare rilevanza riguarda l’Ets, il meccanismo allestito dall’Unione Europea per stimolare le imprese più inquinanti a ridurre le emissioni di anidride carbonica, facendo pagare un prezzo sulla CO2 emessa. Un meccanismo che può funzionare solo se il prezzo è sufficientemente alto da rappresentare un deterrente. Oggi non è così. Per questo da più parti si chiede che il sistema venga riformato. Nel contempo, però, bisogna evitare che l’iniziativa si trasformi in un stimolo per le imprese europee a trasferire la produzione dove la legge è più permissiva. Ridurre le emissioni in Europa per farle aumentare in Vietnam o in Etiopia, non sarebbe un guadagno per il pianeta. Per cui bisogna intervenire anche sulle frontiere con dazi che colpiscono il così detto dumping sociale e ambientale. Strada non semplice perché richiede una revisione delle regole commerciali internazionali concordate all’interno dell’Organizzazione mondiale del commercio. Ma il mondo è al bivio fra avidità e sicurezza. Gli spazi per perseguirle entrambi si sono ormai esauriti.