Ostinazione di bene: qui e ora. È vero ed è possibile perché Lui ci «primerea»
Caro direttore,
Gesù è veramente risorto perché lo hanno testimoniato gli apostoli che lo hanno visto e hanno preferito morire anziché tradire questa verità. Cristo è veramente risorto anche perché è scritto nei vangeli ed i vangeli sono verità, insegnano solo il bene, sono parole straordinarie. Lo dimostra il fatto che mettendoli in pratica, cioè vivendoli, si fa veramente il bene. Se il vangelo è bene e verità, non può basarsi su una menzogna. Praticando il vangelo si capisce che il suo messaggio è vero, che si amano davvero i fratelli, allora si capisce che è verità, quindi è vera la Resurrezione di Cristo. Solo lui ha avuto parole così di salvezza, di bene tanto grande da renderci figli di Dio, se lo vogliamo. Le sue parole sono bene e sincerità. Un semplice uomo non poteva dire parole tutte così grandi per quei tempi e ancora per oggi. A quei tempi era rivoluzionario il rispetto per i bambini, per le donne, per i malati, per i piccoli, perché nessuno li considerava, ma ancora oggi è rivoluzionario; per esempio Lui dice: «Se vuoi fare un’offerta, prima vai a riconciliarti con il fratello e poi vieni all’altare». Inoltre insegnava non solo a rispettare i poveri, ma ad aiutarli concretamente a uscire dalla povertà, lottando pacificamente ed efficacemente per la giustizia sociale. Questo ancora oggi è molto moderno, attuale. Insegnava a fare comunità, a condividere con gli altri, ecc. Era cioè uomo e anche Dio al di sopra del materiale e del contingente e, quindi, non poteva essere assoggettato dalla morte materiale. È risorto perché Lui è il bene assoluto e il bene è più forte del male e della morte. Il bene è più bello del male. È più bello ricevere il bene, ma anche dare del bene ci fa stare meglio. Gesù è veramente risorto perché tutte le sue parole sono verità, sincerità e bontà. E la bontà se è assoluta non può ingannarci. Buona Pasqua.
Caro direttore,
questa lettera non vuole essere contro, contro qualcuno, contro le leggi, contro il mondo. Vuole essere invece a favore, a favore del bene e di chi prova ogni giorno a costruire il bene. Certo, lo spunto da cui nasce la mia lettera non è il bene costruito, ma l’impedimento a operare il bene. Avevo letto qualche anno fa un libro di Paolo Rumiz: “Il bene ostinato” e riprendo in un contesto diverso lo stesso titolo. Ostinatamente sento che bisogna operare il bene. L’occasione di questa lettera è data da due episodi che mi sono capitati. Il primo: lavorando ogni giorno a fianco con ragazzi detti neet (Not in Education, Employment or Training – giovani esclusi o che non riescono a stare nelle strutture scolastiche, occupazionali o formative) mi sono reso conto che da noi vengono chiamati adolescenti invisibili. Non esistono! Non esistono a volte per la famiglia, per le strutture, per la scuola, per il mondo del lavoro. Sono ragazzi fuori da ogni circuito sociale, lavorativo, scolastico. Per non essere così drastico, diciamo che difficilmente trovano una loro collocazione. Operare il bene con loro, costruire progetti di reinserimento per questi ragazzi è complicato. Nemmeno la buona volontà di chi aiuta con donazioni e offerte riconosce questi ragazzi. Non ci sono! Per questo ringrazio chi ogni giorno prova a lavorare per questi ragazzi. Il secondo episodio è ben più complesso e drammatico. Con alcuni amici abbiamo accompagnato un giovane profugo, ospitato qui in Lombardia, per vedere se riuscivamo ad aprire la pratica per il ricorso in Cassazione riguardo al suo permesso di soggiorno, dopo che ha ricevuto per due volte il diniego. Non sono esperto di legislazione e quindi non entro in merito alla questione. Quello che mi ha colpito è stata l’affermazione dell’avvocato a cui ci siamo affidati: «Non ci sono strade per avere il permesso di soggiorno. E chi accompagna, ospita, o aiuta chi è definito dalla legge “clandestino” rischia il reato di “favoreggiamento della clandestinità”».
Di fronte a queste affermazioni sono rimasto allibito. Ma come, mi sono detto, cerco di operare il bene e una legge me lo impedisce. Attenzione, il bene non è avere a tutti i costi il permesso di soggiorno, ma prendersi cura di chi si trova in difficoltà. Torno a ripeterlo: non conosco tutte le leggi, le procedure, i metodi per arrivare a ottenere un sostegno per un ragazzo in difficoltà, o per arrivare a sostenere un profugo. Ma ho scoperto una cosa che mi fa arrabbiare: la legge ha costruito un recinto di regole attorno al bene per impedire di operare il bene. Questo è assurdo! La legge deve fare il contrario: deve favorire il bene per rendere umana la vita. Le procedure devono mettere in condizione chi opera a favore dei poveri di fare il bene, non di portarlo a dire: «Non posso fare più niente». Non ne faccio assolutamente una questione economica, ma di umanità, penso a una legge che favorisca tutto quello che ha il gusto dell’umano. Ero partito dal titolo del libro “Il bene ostinato” e ci ritorno. Non ci sarà niente che mi impedirà di operare un bene che sa di ostinazione. Il bene va perseguito in maniera ostinata, sempre. Ha scritto Roberto Mussapi su “Avvenire” di sabato 23 marzo 2019: «Oggi più che mai pare scomparso il senso dell’obbedienza: non a un dittatore, al denaro, agli istinti, quella è servitù. Obbedienza al prossimo e alle regole stabilite dal prossimo, e da noi stessi. Obbedienza al cuore». Credo che ostinatamente continuerò a obbedire al cuore che ostinatamente vuole operare il bene per rendere più umana la mia vita e la vita di chi incrocio sulle strade della mia città. Buona e santa Pasqua!
don Sandro SesanaSono due lettere strane, bellissime e coinvolgenti queste vostre lettere, cara signora Enrica e caro don Sandro. E sono due lettere pasquali, perché piene – nel qui e ora – della passione, della fatica e della luce della Resurrezione di Cristo. Ve ne sono grato e sono grato a Dio che mi ha messo nella condizione di esserne il destinatario, assieme a tutti gli amici lettori.
È la mia decima Pasqua da direttore di “Avvenire” e le vostre lettere mi ci accompagnano per mano, con realismo e speranza. Ogni anno di più mi rendo conto del privilegio che mi è toccato: posso fare il mio mestiere come ho sempre sognato, in ascolto della vita e immerso nella cronaca del mio tempo e a essa come incatenato, ma libero grazie alla Verità che abita il tempo e in esso sempre è crocifissa e risorge, e in esso è seme e messe, e in esso chiama anche me, uno fra tanti, a chinarmi, senza eroismi e senza requie, sulla vita di uomini e donne in carne e ossa, miei fratelli e sorelle in umanità, mie sorelle e fratelli ovunque siamo nati e qualunque cammino abbiamo intrapreso e percorso. Ogni anno di più sento, con l’apostolo delle genti, che «non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Galati, 3,28). Gesù, figlio di Maria, Colui che è per sempre umiliato, sacrificato, ucciso e risorto prima e accanto a ogni vittima, piccola e grande, prima e accanto a ogni uomo che cambia le sue mani e il suo cuore e la storia, e le storie, tutte le storie, che noi viviamo. In Lui queste storie sono comprese, pacificate e salvate anche se secondo le logiche del mondo l’incomprensione, il tradimento, il disprezzo e la sconfitta appaiono dominanti e inesorabili. So bene che non è questo ciò che ci dicono i padroni della legge e del potere, di ogni legge e di ogni potere. So bene che non è questo che ci dichiara, apparentemente, la realtà che costoro oggi determinano. E so bene che non è a questo che i profeti dell’amarezza e dell’inganno, del risentimento e della sazietà costi quel che costi ci incitano. Eppure ciò che conta è che Lui ci è prima e accanto, per sempre. Perché Lui – ci insegna papa Francesco, con la dolcezza evocativa del “suo” spagnolo latinoamericano – nos primerea. Lui ci anticipa, su ogni cammino di bontà e di giustizia che siamo capaci di fare, con onesta e disarmata ostinazione, nel freddo e duro tempo che ci tocca di attraversare. Questa è la nostra forza, che non ci isola, ci apre. Buona Pasqua a tutti, davvero.