Meno politici, più riflessivi. Questi gli Oscar 2015 assegnati dall’Academy l’altra notte a Los Angeles nel consueto sfavillio di star e abiti lunghi. Le quattro statuette a
Birdman di Alejandro Iñárritu, vincitore annunciato, sono un omaggio sì a Hollywood, al mestiere dell’attore e al teatro (quale coincidenza con la scomparsa di un gigante della scena come Luca Ronconi), ma rivolgono soprattutto lo sguardo all’interno dell’animo umano, alla ricerca del vero sé tra ferite e desiderio di riscatto. Noi non siamo supereroi, pare dirci uno straordinario Michael Keaton ripiegando le ali di Batman/Birdman, proprio mentre il nuovo supereroe diventa il cecchino di Clint Eastwood, il navy seal Chris Kyle che uccise 162 iracheni e che macina incassi record ai botteghini. L’Academy ha prudentemente snobbato il discusso
American Sniper, come pure si è levata dall’impiccio di premiare l’attualissimo
Timbuktu del mauritano Abderrahmane Sissako, in corsa per il miglior film straniero dopo aver sbancato venerdì scorso ai César francesi. Quelli sì, i 7 “Oscar” della Parigi post
Charlie, un segnale politico per un film che mostra la devastazione dell’estremismo islamico in Mali, e che allo scorso festival di Cannes non ottenne premi se non il lungimirante riconoscimento della Giuria ecumenica. Hollywood ha preferito premiare un’opera meno scottante ma non meno bella, ancora un viaggio alla ricerca di se stessi intrecciato, stavolta, ai temi alti della fede.
Ida, del polacco Pawel Pawlikowski, ha saputo incantare le platee di mezzo mondo con i dubbi e le scelte di una novizia che scopre le sue origini ebraiche nella Polonia comunista degli anni 60. Un’eroina del quotidiano, come pure la Alice malata di Alzheimer che ha portato la statuetta come miglior attrice a Julianne Moore, o un eroe della volontà come lo Stephen Hawking di
La teoria del tutto, miglior attore Eddie Redmayne. Anche se noi l’Oscar alla migliore battuta (oltre che per i costumi della nostra Milena Canonero) l’avremmo dato a
Grand Budapest Hotel, per lo scambio fra monsieur Gustave e il fattorino Zero: «In nome di Dio, che cosa ti ha indotto a lasciare la Terra Natia cui appartieni e percorrere indicibili distanze per diventare un immigrato squattrinato in una società raffinata e colta che, francamente, avrebbe potuto fare a meno di te?». «La guerra».