Lettere. «Orgoglio gay» e sfilate carnevalesche. Ostentazione sempre meno comprensibile
Caro Avvenire,
quando vedo le immagini dei gay pride mi domando: per favore mi spiegate cosa significa orgoglio gay? E cosa c’entra l’orgoglio con le sfilate carnevalesche che, più che fare riconoscere i giusti diritti dei gay, li fanno cadere nel ridicolo? Orgoglioso può essere chi vive la quotidianità della sua esistenza nel rispetto delle persone e delle regole del vivere civile. Orgoglioso può essere chi compie totalmente il proprio dovere e opera con serietà e impegno, qualsiasi attività svolga. Orgoglioso può essere l’uomo che ama il prossimo suo come se stesso. E, grazie a Dio, quanti ne abbiamo di questi esempi! Eppure nessuno dei suddetti scende in piazza e fa cortei per sbandierare il suo orgoglio. Non sarebbe preferibile che i problemi dei gay – che pure tanto soffrono, soprattutto per l’indifferenza e l’incomprensione di un’altra buona parte di essere umani – non fossero sbattuti in faccia alla gente in maniera così ostentata e folcloristica, ma affrontati seriamente nelle sedi opportune? Non sarebbe meglio se i sindaci e i politici di questa o quella città, invece di sfilare con i gay per accaparrarsi qualche voto, lavorassero seriamente per aiutarli davvero? Gli stessi gay non pensano che hanno torto coloro che vogliono imporre platealmente la propria presenza e finiscono poi col farsi addirittura strumentalizzare da tanti che li sfruttano per i loro scopi? Secondo me, se si rendessero conto che gli eccessi tolgono dignità proprio alle loro persone, rendendo a tutti più difficile capirli ed accettarli, farebbero lo stesso i cortei, ma senza ostentazioni.
Raffaele Pisani, napoletano a Catania
Anche io davanti ai cortei dell’orgoglio gay mi domando se a tutti gli omosessuali piaccia essere rappresentati nel modo farsesco che viene esibito in queste manifestazioni. Se non c’è qualcosa per loro stessi di offensivo nel presentare con i toni di un carnevale una condizione umana che non ha nulla di burlesco, anzi probabilmente porta con sé una drammaticità anche maggiore della inclinazione eterosessuale. Se io avessi un fratello omosessuale, soffrirei nel vedere pubblicamente narrato il suo orientamento con questi toni provocatori, estremi.
Posso capire che la provocatorietà dei gay pride venga storicamente da una rabbia, da una ribellione alla discriminazione tanto a lungo praticata dalla società; che contenga la memoria di una volontà di épater le bourgeois , di sconvolgere i cosiddetti conformisti. Ma tanto più, con gli anni, i diritti dei gay vengono riconosciuti, tanto meno si fa comprensibile l’urto della mascherata chiassosa; e anzi, in molti che sono contro ogni discriminazione, questa induce una sorta di riflesso infastidito.
E perché allora, si chiede qualcuno, non una manifestazione di orgoglio eterosessuale? Forse che l’orientamento eterosessuale è da meno? In realtà, mi piacerebbe non sentire più usare la parola “orgoglio” circa le proprie inclinazioni sessuali. Che siano ereditate o trasmesse con l’educazione, credo che siano qualcosa che l’individuo nella adolescenza si trova davanti, a volte anche con drammaticità. Come una strada che si può seguire, o a cui si può cercare di opporsi, dentro il faticoso, per tutti, mestiere di vivere. Non è più così comprensibile a molti l’ostentazione, la provocazione, la sfida aggressiva, in un mondo che, anche cristianamente, sta cercando di imparare a non discriminare e a non offendere nessuno.