Botta e risposta. Ora una svolta culturale pro famiglia. Migliorare l'Assegno unico
Gentile direttore
ho giudicato ottimo l’articolo di Massimo Calvi del 26 novembre 2021 a proposito delle «due emergenze nazionali trascurate...». È precisa l’analisi sul “declino demografico”, giusto l’allarme. L’articolo si legge tutto d’un fiato. Ma alla fine mi è sembrato che mancasse qualcosa. Poi ho travato un secondo “gioiello” di Calvi. È l’articolo del 7 dicembre scorso «Famiglie e giusta solidarietà...». Più breve dell’altro, l’ho sorseggiato in fretta. E mi sono ritrovato d’accordo in tutta l’analisi, sulle perplessità di alcune proposte politiche, sulla insufficiente svolta del pur osannato Assegno unico, sul drammatico Rapporto Istat. Approvo soprattutto un passaggio. «Sarebbe importante... pensare a un cambio di approccio culturale capace di ribaltare... qualcosa che cominci finalmente a mettere al riparo le coppie con figli... ». È vero, è proprio necessario un cambio di marcia culturale. Da quando mi interesso di politica, cioè tanti lustri, non ho mai avuto la fortuna di veder approvata una legge pienamente a favore, a sostegno della famiglia. Sempre piccoli passi e sempre insufficienti. La verità è che non c’è la volontà politica di difendere e valorizzare la famiglia, anzi. La cultura e la spinta antropologica sono dirette altrove (e mi limito a dire altrove!). Grazie dunque per questi due corposi e utili articoli. Mi permetto anche di far presente che dal 2018 giace nei cassetti del Parlamento, (già con un po’ di muffa e forse coperta da altre carte) la proposta di Legge Popolare “Reddito di maternità” presentata con le regolari 50mila firme di italiani raccolte con enorme fatica dal partito Popolo della Famiglia. Punta a dare la possibilità alle madri che lo desiderano e scelgono liberamente di lasciare il lavoro per una “missione” importante: crescere ed educare i propri figli dedicandosi alla cura della famiglia. Con 1.000 euro al mese per ogni figlio fino al 18° anno di età e un vitalizio per i figli con handicap. La spesa annuale è inferiore al gettito previsto per il Reddito di cittadinanza e permetterebbe a molti giovani di “investire” sui propri figli e di abbattere sensibilmente la grave piaga dell’aborto. Mi pare non sia una scelta di poca importanza ma i politici attuali (compresi molti cattolici) sembrano sordi. Anche questo è, come scrive Calvi, un possibile «necessario cambio di marcia culturale». Speriamo che qualcuno osi aprire il cassetto e legga l’unico articolo previsto dalla Proposta di legge popolare...
Gentile signor De Giovannini, è bello sapere che gli articoli che cita sono stati apprezzati e hanno prodotto in lei ulteriori riflessioni, e le sono grato per averle condivise. Avendomi chiamato in causa personalmente, il direttore Tarquinio mi ha affidato il compito di risponderle, anche perché sul Reddito di maternità lui stesso ha già avuto modo di esprimersi in altre occasioni: in una risposta del marzo 2019 e in una successiva del giugno 2020, in questo caso a una missiva inviata sempre da lei. In entrambe le occasioni il direttore aveva condiviso le analisi e le preoccupazioni manifestate in tema di protezione della maternità e dell’infanzia, come le richieste di misure di rilancio della natalità, ma allo stesso tempo aveva esposto alcune perplessità di fronte alla «rinuncia-amputazione » della sfera professionale che una misura come il Reddito di maternità può chiedere alle donne. Nessuno ha la verità in tasca, ma mi sento di condividere questa impostazione. Quando si parla di “cambio di marcia” sulle politiche familiari credo si debba tenere presente il contesto storico, sociale e culturale in cui questa svolta deve incidere. Per molte donne in Italia la scelta tra lavoro e maternità rappresenta già un conflitto assai problematico da gestire, molto più che altrove, a causa della carenza di servizi e risorse tali da rendere la scelta veramente libera. La sfida culturale, oggi, è aiutare la società e la politica a non avere paura di misure forti, capaci di assecondare fino in fondo i desideri di genitorialità delle coppie, evitando letture di parte o ideologiche della realtà, imponendo visioni del mondo calate dall’alto. Se da un lato l’opzione del “restare a casa” con i figli (e mi perdoni: perché solo le mamme?) non dovrebbe essere contrastata, come ancora avviene nel momento in cui si negano riconoscimenti fiscali generosi a tutte le famiglie, dall’altro un incentivo che spinga le donne ad abbandonare il lavoro può essere una soluzione altrettanto discutibile e problematica. Nei Paesi in cui vi sono meno ostacoli alla genitorialità e la scelta è più libera in tutti i sensi, il fisco agevola in modo più netto le famiglie con figli rispetto ai single e gli assegni sono più generosi, meno burocratici nell’erogazione e veramente universali. Questi modelli sono difficili da importare perché manca una base sociale, politica, culturale, e anche elettorale in grado di comprenderne il valore. Se nessuno si è speso per ottenere il Quoziente francese o l’assegno tedesco, che margine politico può avere, realisticamente – a prescindere dalla sua validità o meno – la proposta di un Reddito di maternità? L’Assegno unico, dopo tanti anni, è stata la mediazione possibile, e molto più che accettabile. Questa è la strada lungo la quale l’Italia si è avviata, accanto al percorso del Family Act. Pertanto, l’impegno per una “svolta culturale” in senso familiare e natalista dovrebbe essere orientato a migliorare questo strumento per colmare lo spazio che lo separa dalle esperienze più avanzate: aumentando le (poche) risorse a disposizione per ampliare il beneficio, elevando il tasso di universalità, semplificando le procedure per ottenerlo. La conclusione è una domanda: chi si sta spendendo, oggi, per questo?