Opinioni

Analisi. Ora la famiglia in Cina non è più affare di Stato

Stefano Vecchia sabato 7 aprile 2018

Una madre cinese con il figlio (Ansa)

La Commissione nazionale per la salute e la Pianificazione familiare, che per un quarantennio ha gestito la 'politica del figlio unico' per adeguare la popolazione alle linee-guida economiche e produttive del Partito comunista, avrebbe i giorni contati. Le sue funzioni saranno infatti assorbite dalla nuova Commissione nazionale per la Salute, prevista nel riordino e nell’ampliamento del numero dei ministeri approvata nella sessione del Parlamento cinese appena conclusa. Dopo le voci e gli annunci manca ancora una conferma ufficiale del nuovo corso, ma – come sottolinea Huang Wenzheng, tra i fondatori dell’organizzazione non-governativa specializzata sui temi della popolazione Cnpop.org – le politiche di controllo delle nascite stanno per 'uscire dalla storia' in quanto «la riorganizzazione del Consiglio di Stato (il Governo cinese) abitualmente anticipa revisioni della politica demografica». Scomparirà quindi l’organizzazione preposta dal 1981 agli aborti e sterilizzazioni forzate che hanno portato alla mancata nascita di 400 milioni di cinesi comunicata con orgoglio solo cinque anni fa dal responsabile della Commissione, Mao Qunan.

Più difficile sarà cancellare le immense sofferenze per le famiglie, costrette a limitare la prole a favore perlopiù di un solo figlio (preferibilmente maschio, per la persistente mentalità confuciana) e a subire pesanti ammende, licenziamento o sequestro dei beni in caso di inadempienza. Sofferenze condivise anche dai figli nati al di fuori della politica ufficiale e in parte esclusi dalle statistiche perché mai registrati per timore di ritorsioni, costretti a una vita semiclandestina e a rischio constante di abuso, sfruttamento o arresto. Anche il termine 'pianificazione familiare' diventerà sostanzialmente tabù a livello pubblico.

Un’inversione drastica di rotta motivata dalle condizioni oggi immensamente diverse rispetto al passato. La Cina proiettata da Deng Xiaoping verso a una crescita esponenziale e un ruolo di comprimario sulla scena globale, aveva avviato la sua politica restrittiva dopo avere sperimentato una travolgente crescita della popolazione, raddoppiata fino ad arrivare al miliardo nel trentennio 1950-1980. Un chiaro segnale di miglioramento delle condizioni generali e della disponibilità alimentare, nonostante le tante tensioni e difficoltà e una povertà diffusa. Un traguardo ancor più rilevante se confrontato con la crescita dei cinesi da 250 a 500 milioni nei due secoli precedenti. Una situazione che comunque aveva posto la dirigenza comunista davanti a opzioni limitate e a scelte in linea con il dirigismo, l’ideologia dominante e le convenzioni antiche. Il risultato è stato giudicato anche all’interno con varie sfumature ma sicuramente pagato a caro prezzo. Situazioni che oggi emergono con maggiore chiarezza e che rischiano di mettere apertamente sotto accusa i responsabili. Il dibattito è appena aperto ma presente, a partire dai social media.

II transito dal 'controllo della popolazione' allo 'sviluppo della popolazione' è ora salutato positivamente dai critici della demografia di Stato che avvertono però che nella Costituzione del 1982 la pianificazione familiare viene stabilita e incentivata. Una 'necessità' ripresa nella Legge sulla Popolazione e la Pianificazione familiare firmata il 29 dicembre 2001 dall’allora presidente Jiang Zemin. Una legge che nell’art.1 prevede (in libera traduzione) che: «Questa legge è attuata in accordo con la Costituzione con il proposito di raggiungere uno sviluppo coordinato tra popolazione, da un lato, economia, società, risorse e ambiente dall’altro, promuovendo la pianificazione familiare, proteggendo i legittimi diritti e interessi dei cittadini, incrementando la felicità delle famiglie e contribuendo alla prosperità della nazione e al progresso della società». Più nello specifico, l’articolo 2 indica che «essendo la Cina un Paese popoloso, la pianificazione familiare è una politica fondamentale dello Stato». Una applicazione a volte rigida, a volte opportunistica, spesso vessatoria verso i deboli ha portato, oltre a una drastica riduzione del tasso di crescita, anche a un incremento nella selezione sessuale, per cui oggi il Paese estremo-orientale ha uno dei maggiori divari tra maschi e femmine al mondo, con conseguenze immaginabili. Ben lontano dalla visione dell’'altra metà del cielo' di Mao o da quanto stabilito nella stessa Costituzione che «le donne cinesi godono di uguali diritti degli uomini per quanto riguarda la politica, l’economia, la società e la vita familiare».

Una 'svolta', quella in corso, avviata con gradualità ma sicuramente con lo scopo predeterminato di arrivare al punto attuale, a una politica di natalità con pochi vincoli dettata non da scrupoli morali (o almeno non ammessi), ma dalla necessità di rilanciare un potenziale umano che va riducendosi rapidamente mentre il Paese ne ha bisogno per garantire competitività alla propria macchina produttiva. Una umanità da coinvolgere nella visione di un nuovo sistema-Paese, dalle regole certe e dal welfare diffuso; meno impositivo verso il privato dei cittadini ma intransigente riguardo a chi deve orientare e gestire la società.

Breve la cronistoria della 'svolta'. Dopo l’annuncio dell’ottobre 2015, dall’inizio del 2016 le autorità hanno aperto a due figli per coppia per tutte le famiglie cinesi (peraltro, tra concessioni e eccezioni la media reale era già di due figli per ciascun nucleo) e nell’ottobre 2017 il sotto-comitato specifico del Congresso nazionale del popolo (per la Cina popolare, il Parlamento) chiedeva alle province selezionate di Guangdong, Yunnan, Jiangxi, Hainan e Fujian di rivedere le regole che consentivano alle aziende di licenziare dipendenti con figli in eccesso. Infine, lo scorso ottobre, per la prima volta da un trentennio, un segretario generale (Xi Jinping) non ha incluso nel suo rapporto al Congresso del Partito comunista un cenno alla 'pianificazione familiare', chiedendo invece la promozione «del coordinamento tra le politiche di natalità con altre di carattere economiche e sociali». Una sottolineatura fatta propria dal responsabile della Commissione nazionale per la salute e la Pianificazione familiare, Li Bin, che parlò allora del 'criterio scientifico' come strumento per valutare le politiche di pianificazione. È così che nella nuova struttura preposta al benessere di 1,4 miliardi di cinesi, la pianificazione dei figli tornerà al privato individuale o familiare. Maggiore rilievo avranno invece la sicurezza della prole e delle madri, la riforma del sistema ospedaliero, la medicina del lavoro e la lotta al tabagismo.