Milano. I fatti di odio a Inter-Napoli: ora giusta fermezza e ululati antirazzisti
Il triplice fischio che domenica sera ha concluso la partita tra Inter e Napoli allo stadio di San Siro dovrebbe segnare anche la fine d’ogni tipo di strategia dell’attesa su razzismo e violenza degli ultras.
Alla tragica morte del tifoso interista Daniele Belardinelli, durante un agguato ai supporter napoletani con tanto di blocco stradale, torce e auto poste in mezzo alla strada, si sommano gli insulti beceri e infami contro il difensore del Napoli, Kalidou Koulibaly, 'colpevole' solo del colore della propria pelle.
Spetta alle società calcistiche e alla politica (a tutti i livelli) intervenire per fermare questa deriva che da troppo tempo accompagna lo sport più amato del Paese, che in tante occasioni unisce e fa crescere, ma spesso serve a esprimere i peggiori istinti. E va subito rimarcato che ricette miracolose – purtroppo – non esistono. L’unica strada è il lavoro continuo delle Forze dell’ordine, insieme all’impegno collettivo per isolare i facinorosi.
Serve per prima cosa l’acquisizione di tutte le informazioni intorno a questi gruppi di falsi tifosi grazie all’attività di intelligence. Soprattutto davanti a spinte verso ideologie di destra estrema che vedono la violenza come una via quasi naturale per ribadire la propria supremazia o, comunque, per caratterizzare la propria identità. Ed è poi necessaria la tolleranza zero nei confronti dei responsabili di qualsiasi atto di aggressione. La via, del resto, è già stata tracciata: in Inghilterra i peggiori hooligans sono stati domati e sconfitti da una legislazione che sanziona con durezza ogni tipo di violenza praticata con la scusa delle competizioni sportive.
Negli stadi britannici, per esempio, esistono celle di sicurezza in cui richiudere i facinorosi e le sentenze seguono a pochissima distanza di tempo ogni episodio di illegalità. Deve passare, insomma, il concetto che non esistono zone franche, né dentro né fuori gli stadi. E che ogni reato, lieve o grave, sarà perseguito con la giusta severità, senza sconti dovuti alle circostanze speciali, ovvero del 'tifo' nel nome del quale si tende a sorvolare ancora troppo.
Per questo anche la politica è chiamata a un intervento senza messaggi ambigui e leggerezze (come le foto scattate dal ministro dell’Interno con un capo-curva pregiudicato) che possano far pensare a una sorta di acquiescenza verso quel mondo. Uno strizzare l’occhio in nome di una sbandierata identificazione con l’uomo della strada in tutte le sue espressioni (anche le più deteriori, come questa).
Quello che serve, invece, è un richiamo, forte, alla legalità attraverso la ferma applicazione del Codice penale. Riformandolo, se necessario, per renderlo più adatto ai compiti nuovi. Senza dimenticare, però, quanto possono fare le società di calcio, chiamate a recidere ogni contatto con le tifoserie estreme che, se da una parte sono le più vicine e 'affezionate' ai club, dall’altra sono quelle che poi si rendono responsabili delle violenze.
Quanto al capitolo razzismo, le leggi ci sono e il calcio è potenzialmente attrezzato. Forse servirebbe più coraggio nel metterle in pratica. L’Inter, ieri, ha diffuso un comunicato in cui prende seccamente le distanze dai fischiatori di Koulibali. Lo ha fatto ripercorrendo la storia del club nerazzurro e i valori sportivi che sono alla sua base ricordando l’impegno della Società in varie zone del Pianeta. E ha lanciato un avvertimento: «Chi non dovesse comprendere e accettare la nostra storia, questa storia, non è uno di noi». Il punto, come accennato, sta proprio qui. Di fronte a slogan e ululati bisogna reagire. Educando i più giovani, e sommergendo di fischi chi pensa che sostenere la propria squadra equivalga a distruggere – moralmente o anche fisicamente – l’avversario. Ottantamila persone che zittiscono qualche centinaio di incivili sarebbe la vittoria più bella per un calcio che ha bisogno di valori e fermezza per non soffocare. Sono gli unici ululati che vorremmo sentire: anti-razzisti.