Verso le elezioni del 23 aprile. La Francia scopre gli spettri dell'«italianizzazione»
Bandiere francesi a un comizio di Marine Le Pen, candidata alle presidenziali per il Front National (Ansa)
Un singolare virus – tutto politico – attraversa l’Europa: si potrebbe definirlo italianizzazione. Relativa, purtroppo, non alla cucina, all’arte o alla moda, ma al (non eccellente) funzionamento delle istituzioni politiche. Dopo la Italianización di cui parlarono i media spagnoli all’indomani delle elezioni del dicembre 2015, è forse in arrivo la sua variante francese, che potrebbe manifestarsi dopo le elezioni presidenziali e parlamentari in calendario Oltralpe fra la fine di aprile e la metà di giugno. L’italianizzazione ha almeno due forme: la frammentazione del quadro politico da un lato e l’instabilità dei governi dall’altro.
Immaginare una italianisation delle istituzioni francesi è, a prima vista, un’ipotesi paradossale. Infatti, le istituzioni della Quinta Repubblica, imposte alla Francia da Charles De Gaulle fra il 1958 e il 1962, sono state costruite proprio per esorcizzare l’instabilità, il dominio dei partitini e l’eclissi dell’interesse generale che avevano segnato la vita della Quarta Repubblica (1946-58), la cui Carta costituzionale era per vari aspetti la 'gemella' di quella italiana, ma senza quei partiti dominanti (la Dc e il Pci) che stabilizzarono per mezzo secolo, sia pur in forma anomala, le nostre istituzioni. L’architettura istituzionale della Quinta Repubblica include quegli antidoti all’instabilità e all’indecisione permanente che da noi molti hanno spesso invocato: l’elezione diretta del Presidente della Repubblica, un Parlamento encadré, vale a dire assoggettato a rigorosi poteri di direzione governativa (anche se ridimensionati da varie riforme recenti, soprattutto quella del 2008), un sistema elettorale maggioritario, basato su collegi uninominali a doppio turno, che – malgrado la sua popolarità nella sinistra postcomunista italiana – produce una maggioranza parlamentare con distorsioni della rappresentanza ben maggiori di quelle del Porcellum e dell’Italicum.
Dunque l’italianizzazione sembrerebbe scongiurata in radice: nei prossimi mesi i francesi eleggeranno un Presidente e, poche settimane dopo, produrranno una maggioranza in Parlamento. Così, almeno, è sempre stato sinora, con la sola eccezione dei periodi di coabitazione fra Presidenti di un colore e maggioranze di colore opposto (1986-88, 1993-95 e 1997-2002). Ma dal 2002, da quando, cioè, le elezioni presidenziali e parlamentari si svolgono a poche settimane di distanza le une dalle altre, Chirac, Sarkozy e Hollande si sono visti attribuire chiare e disciplinate maggioranze di partito nell’Assemblea Nazionale. Cosa potrebbe cambiare nei prossimi tre mesi rispetto a questo scenario? Il cambiamento riguarda il sistema dei partiti politici. Sin dalla metà degli anni Sessanta del Novecento, il sistema politico francese si è strutturato secondo una ferrea logica destra/sinistra, che ha stritolato le forze politiche centriste. I candidati presidenziali di centro (Lecanuet nel 1965, Poher nel 1969, Bayrou nel 2007) hanno in genere avuto poca fortuna, quando cercavano di sfuggire all’omologazione sull’asse destra-sinistra. Una destra e una sinistra le quali si sono date una solida trazione moderata, marginalizzando le estreme, sia a sinistra (vedasi il ruolo subordinato imposto da Mitterrand ai comunisti dagli anni Settanta in poi) sia a destra, ove ha operato una ferrea conventio ad excludendum rispetto al Front National di Jean-Marie e poi di Marine Le Pen: al punto che questo, pur superando in molti casi il 20, e talora il 30 per cento dei voti, ha conquistato in mezzo secolo poche decine di seggi parlamentari e la guida di alcuni Comuni mediopiccoli, ma mai nessuna grande città o Regione. Ora, invece, in vista del primo turno delle presidenziali, in calendario per il 23 aprile, i sondaggi danno in testa un giovane candidato centrista e la leader del Front National. E proprio qui sta la radice di ciò che potrebbe far saltare gli equilibri del sistema politico costruito in 50 anni attorno alle istituzioni degaulliane.
La vera questione, infatti, non sono le elezioni presidenziali del 23 aprile e del 7 maggio, ma le successive elezioni legislative, dato che le presidenziali produrranno senza dubbio un vincitore. Chiunque esso sia, le chiavi dell’Eliseo (e con esso la suprema direzione politica del Paese – inclusa la 'valigetta' nucleare – saranno nelle sue mani). Da questo punto di vista poco cambia dal punto di vista istituzionale, quale che sia il vincitore, anche se questo dovesse uscire – come ora sembra probabile – da un ballottaggio fra Marine Le Pen ed Emmanuel Macron, che escluderebbe dalla scelta finale i leader dei partiti tradizionali, vale a dire François Fillon, designato a novembre dalle primarie dei Les Republicains (nuovo nome voluto due anni fa da Sarkozy per il centro-destra di matrice gollista) e Benoit Hamon, il quale è prevalso a gennaio nelle primarie socialiste contro l’ex primo ministro Manuel Valls, che a sua volta aveva spinto a non ricandidarsi alla presidenza il capo dello Stato uscente François Hollande, come lui espressione dell’ala moderata del Partito socialista. Certo, nessuno può negare che un ballottaggio fra un centrista senza un vero partito, come Macron, e la leader del Front National, partito antisistema per eccellenza, segnerebbe una netta rottura storica. Ma, soprattutto se a prevalere al secondo turno fosse Macron – come al momento indicano tutti i sondaggi – la continuità dei valori repubblicani (che uniscono le forze politiche tradizionali) sarebbe preservata con una veste nuova.
Il problema verrà, però, subito dopo. Alle elezioni legislative – in programma, anch’esse in due turni, per l’11 e il 18 giugno – competeranno infatti i candidati designati dai partiti politici. Quale risultato potrà raggiungere lo pseudo-partito En Marche, che raccoglie i supporters di Macron (oppure, in caso di vittoria della Le Pen, il Front National)? Di certo non sarà facile sloggiare la classe politica tradizionale – socialisti e repubblicani – ben radicata nei territori dai collegi uninominali in cui vengono eletti i deputati francesi. Di conseguenza, la sera dell’18 giugno un eventuale presidente Le Pen o Macron potrà trovarsi senza maggioranza nell’Assemblea Nazionale. E difficilmente vi sarà in Parlamento una chiara maggioranza alternativa al Presidente, come in passato è accaduto nei periodi di coabitazione: i partiti tradizionali potranno forse impedire la formazione di una maggioranza lepenista o macronista, ma difficilmente produrne una socialista o neo-gollista, capace di esprimere un proprio Premier. Ecco, dunque, la possibile italianizzazione della politica francese, che potrebbe diventare realtà da giugno. Solo una rimonta di uno dei candidati dei partiti tradizionali – in concreto, dato che Hamon viaggia sotto il 10 per cento nei sondaggi, la rimonta di un François Fillon oggi appesantito da alcuni scandali per favori ai familiari e da una certa passione per il lusso, che non vanno certo a suo onore – e una successiva vittoria elettorale del suo partito possono dare continuità alla tradizione politica della Quinta Repubblica. In caso contrario si aprirà anche Oltralpe l’era dell’incertezza.