Sono loro, le ombre. Sbucano dalle stazioni, tra i binari e i vagoni. Le trovi lungo viottoli di collina, dove non le aspetti. Lontane ormai da dove dovrebbero stare. Da dove le avevamo recintate. Perché le ombre, si sa, non le puoi rinchiudere.Uomini ombra, dai tratti somatici lontani si aggirano, si mescolano alle ombre che già conoscevamo. Li vedi solitari o a piccoli gruppi. Raminghi. Lo sguardo da fuggiaschi. Traversano l’Italia. Ombre che passano. E poi forse si acquattano, si infrattano. Entrano in muri disabitati. In catapecchie. Le poche che ancora non sono abitate da altre ombre. Da altri uomini ombra che cercano un po’ di luce. Si muovono sparsi, o a piccoli branchi. Li vediamo dalle nostre auto, corrono sui cigli delle strade. Traversano campi, li depredano. Arraffano. Uomini ombra che s’arrangiano.E quando li vediamo, se li incrociamo per un istante, ci viene il dubbio: sono loro le ombre o siamo ormai noi le ombre? Chi è davvero preda dell’ombra? La loro vita rischiosa e animata dall’ansia di cavarsela, di trovare una sistemazione, un espediente per campare o la nostra, avviata come è, per i più, lungo i binari di una acquietata tranquillità? In noi, a vederli, sale una inquietudine.Comprensibile. E forse più profonda della primaria, immediata inquietudine dovuta alle domande che sorgono sul futuro, sugli sbocchi, sull’esito di questa invasione di ombre. Per noi, per i nostri i figli.Oltre a questa comprensibile, primaria, naturale inquietudine, ne sorge un’altra.Un’altra più profonda inquietudine.Ormai, forse, stiamo diventando noi ombre. Ha ormai la consistenza di un’ombra la nostra umanità non più tesa a cercare, non più sollecitata dal bisogno, non più animata dall’avventura – dura e splendida – di vivere. Forse sta diventando un’ombra il nostro cuore.Mentre il loro, quello degli uomini ombra che sbucano da dietro le massicciate delle ferrovie, da dietro i fossi, da dietro i guard-rail delle autostrade, ecco quel cuore ci pare di vederlo, acceso e intimorito. Rischioso e spavaldo. Quelle ombre che abitano il nostro paesaggio ci stanno costringendo a vedere anche le ombre che abitano la nostra anima. Il loro passaggio furtivo, il loro passo solerte e il loro sguardo braccato ci obbligano a sentire quanta vita in noi è diventata poco più che un’ombra.Quanta vita è diventata una memoria sbiadita.Questi uomini ombra ci stanno costringendo – e se li incontri, quardali negli occhi – a sentire la vita in tutto il suo rilievo, fastoso e drammatico, grandioso e irrisolvibile. Perché tutte le soluzioni possibili per evitare che l’ombra dilaghi non bastano a cancellare l’inquietudine di averne vista anche una sola di queste ombre sui nostri viali, costeggiare i nostri giardini, le piazze o percorrere cauti gli atri delle stazioni.Basta averne vista una sola di queste ombre per sentire di nuovo tutta l’ombra che siamo diventati. Tutta la vita, tutto il cuore ridotto a ombra. Perché il cuore tenuto fuori, al riparo dal dramma della vita, tenuto all’asciutto dal mare aperto del rischio, del possibile naufragio o dell’avventura della ricerca del senso della vita e di una sua maggiore dignità, diventa pian piano un’ombra, una cosa inanimata se non superficialmente. Una pietra su cui lasciamo crescere il poco muschio di emozioni passeggere invece che le esigenze primarie e profonde che lo possono impegnare totalmente.Per questo, pur con le mani che non sanno bene cosa fare, con la inquietudine comprensibile, con la coscienza della responsabilità che ci tocca perché le cose non vadano in malora, diciamo benvenute ombre, aiutateci a strappare la nostra vita dall’ombra.