Opinioni

Oltre sussidi e controlli. Il Reddito occasione da non sprecare

Francesco Riccardi venerdì 5 ottobre 2018

Sul Reddito di cittadinanza ci sono due grandi errori da evitare: il primo è non cogliere l’eccezionale valore di un investimento così consistente nelle politiche di contrasto alla povertà. Il secondo, speculare e opposto, è quello di sbagliare impostazione e svilire questo strumento fino a ridurlo al dannoso assistenzialismo di uno Stato paternalistico.

La scelta – coraggiosa e incosciente – del governo Conte di mettere sul piatto 9-10 miliardi di euro per la fetta più debole della popolazione rappresenta infatti una discontinuità positiva rispetto a decenni di inazione. La rimozione di un dramma che riguardava via via porzioni sempre più ampie della popolazione residente, fino ai 5 milioni di poveri assoluti attuali, interrotta solo da ultimo dagli esecutivi Renzi e Gentiloni con l’introduzione del Rei, il Reddito di inserimento. Con una dotazione finanziaria, però, del tutto insufficiente: un quinto appena, per capirci, di quanto investito nell’operazione 80 euro a 10 milioni di lavoratori.

Oggi, dunque, che la strana maggioranza pentaleghista pone la questione al centro della Manovra, sarebbe assurdo da parte di chi ha a cuore la condizione dei più deboli opporvisi o contrastarla "a prescindere". Piuttosto, occorre uno sforzo per cercare di accompagnare e possibilmente indirizzare correttamente il nuovo strumento, una "condivisione" che la maggioranza stessa avrebbe interesse a favorire per evitare errori esiziali. I rischi in questo senso non mancano, come ha messo in evidenza il dibattito negli ultimi giorni, durante i quali ci si è preoccupati più degli "effetti collaterali" che non delle finalità stesse del Reddito di cittadinanza.

Sbagliano per primi il vicepremier Luigi Di Maio e il Movimento 5 stelle, infatti, a insistere sull’ingiusta divisione tra italiani e stranieri regolari, a enfatizzare il tema dei controlli per evitare le truffe o, peggio, far trasparire l’idea di uno Stato etico che dà, sì, i soldi ai poveri, ma li ritiene irresponsabili e incapaci, toglie loro dignità, quasi fossero cittadini di una serie inferiore, tanto da doverne controllare minuziosamente le spese e decidere per decreto cosa sia per loro «morale», cosa possano consumare e dove, ovviamente per la «loro felicità». Gli esempi offerti sono surreali: le sigarette no, il vino sì (ma fino a quale quantità?); all’Unieuro vietato acquistare un elettrodomestico, evidentemente considerato un lusso tale da far scattare i controlli della Guardia di Finanza; ai negozi esteri non si potrà accedere neppure via internet che altrimenti si favorisce la fuga dei capitali... tutto "solo chiacchiere e distintivo" viene da dire. Per carità, basta.

Occorre fare attenzione perché non c’è solo il rischio di trasformare una scelta fondamentale in barzelletta, ma di non cogliere la vera essenza della politica di contrasto alla povertà. Che non è semplicemente mettere dei soldi in tasca a chi non ne ha. E neppure trovare un’occasione di lavoro purchessia a tutti i disoccupati, ammesso poi che ciò sia possibile per la condizione del mercato e dei servizi per l’occupazione oggi in Italia. La povertà nelle società moderne, infatti, è pluridimensionale e dipende solo in parte dalla temporanea mancanza di lavoro o dalla scarsità dei mezzi finanziari.

Ha a che fare molto più spesso di quel che si pensi con la solitudine, con la mancanza di istruzione, con relazioni sociali compromesse, con condizioni di disagio psichiatrico e psicologico, con vissuti familiari disastrosi. Qualunque intervento di contrasto alla miseria, per essere efficace, non può che partire da questa multidimensionalità e complessità della povertà. Che è poi riflesso delle mille sfaccettature della persona umana. Non esiste "il povero" o "il disoccupato" cui dare un sussidio o magari trovare un lavoretto; esistono persone in carne e ossa e difficoltà che vanno anzitutto prese in carico per ciò che sono e accompagnate in un loro cammino fuori dalla povertà.

Ciò che conta, forse più ancora del pur decisivo assegno mensile e dell’altrettanto importante impegno dei Centri per l’impiego, è proprio quest’opera di vicinanza alle persone, da mettere in condizione di camminare sulle proprie gambe. Perciò sarebbe un grave errore smantellare la rete di servizi di accompagnamento, appena attivata con l’approvazione del Reddito di inserimento, e svolta da Comuni, assistenti sociali, servizi del territorio, associazioni del Terzo settore.

La politica compia uno sforzo di umiltà e intelligenza: provi ad 'audire' chi ogni giorno nei centri di ascolto della Caritas incontra le mille povertà del Paese, si confronti con le associazioni che operano nei territori e ne trarrà indicazioni preziose. No, la povertà non si abolisce per decreto. Neppure con miliardi di euro, se calati dall’alto. È dal basso, dai poveri, dal rafforzamento delle capacità delle persone, dalla loro riconquistata dignità, dal loro pieno inserimento nella società che occorre partire. Altrimenti, si imbocca la strada sbagliata e si finisce dritti nel vicolo cieco di assistenzialismo e sprechi.