Natale. Duemila anni dopo, in tempi di sospetto e indifferenza
Nella nostra vita – i recinti in cui viviamo, nell’illusione che entro di essi tutto scorra più o meno in sicurezza – lo sconosciuto è né più né meno di una minaccia da tenere a debita distanza. Ormai, non vediamo più ciò che ci estraneo come fonte di crescita, di arricchimento, in grado di allargare il nostro sguardo e la nostra consapevolezza sul mondo. Semmai, tutto il contrario. Lo sconosciuto, il forestiero, è l’emblema stesso del nemico, di chi ambisce alla nostra ricchezza, più in generale alla posizione sociale che ci siamo guadagnati, che trama alle nostre spalle per prendere il nostro posto, per toglierci tutto.
Sconosciuto è il migrante che arriva dal mare, e che teniamo ben distante dalle nostre terre, in lui, loro, non vediamo una risorsa, ma una specie di forma parassitaria che prende senza nulla dare in cambio. Una forma parassitaria subumana, che non arriva al nostro rango. Ma non c’è bisogno di esempli così eclatanti. Quanti di noi, di fronte al display del proprio cellulare che squilla rimandando un numero sconosciuto, quanti evitano di rispondere, perché quel numero, per il solo fatto di non essere posseduto nella nostra memoria, sarà senz’altro fonte di scocciature, di remissioni certe.
Rispondiamo solo a chi conosciamo, solo a chi appartiene già alla nostra esistenza, a chi è noto. Tutto il resto rimanga fuori. Anche alcuni luoghi in cui l’incontro con lo sconosciuto era obbligato, spesso controvoglia, sono oramai di solitudine assoluta. Pensate al vagone di un treno, di quanti incontri erano forieri i nostri viaggi? Incontri tramutati in amicizie di una vita, divenuti amori, oppure semplici conoscenze da tenere nei ricordi.
Oggi, invece, il vagone di un treno è luogo di educata indifferenza, la nostra attenzione è tutta per i display che ci raccontano del mondo. Perché la nostra relazione con il mondo avviene tutta lì dentro: a quei pochi pollici digitali permettiamo di narrarci di cose lontane e sconosciute, che tali rimarranno. Una narrazione che non ci desta più, che ci intrattiene anche quando ci parla di cronaca efferata. Non ci interessa più lo sconosciuto perché abbiamo smesso di obbedire alla curiosità, perché pensiamo di bastarci, noi e il nostro bel mondo, custodi di tutte le risposte possibili.
Ma se guardiamo ognuno alla propria vita, al passato che abbiamo alle spalle, ci rendiamo conto che è vero esattamente il contrario. È l’incontro con ciò che vive fuori di noi, che da ignoto si fa amico, è grazie a questo avvenimento se la nostra vita è quello che è. Pensateci. Ognuno di noi, a riguardare il proprio passato, avrà dentro la sua storia uno sconosciuto che ha cambiato il corso degli eventi. Dalla ragazza conosciuta per caso, e divenuta moglie e madre dei propri figli, all’amico dell’amico, all’inizio pure antipatico, oggi socio d’affari al pari di un fratello. Siamo pieni d’incontri, tutti.
Pensate alla storia dell’uomo, a cosa saremmo se non avessimo obbedito per secoli e secoli alla curiosità nei confronti dell’Altro, a quello che dall’Altro abbiamo appreso, dopo aver superato la paura iniziale, i timori infondati. Siamo quello che siamo per aver accolto lo sconosciuto, per averlo fatto fratello tra i fratelli. Sino a Lui, che nasce in questi giorni, per dare al tempo stesso un nuovo ordine. Passò tra persone umili, pastori, artigiani, pescatori, gente di fatica, ma vive e deste, curiose al pari dei bambini che cercano con desiderio dentro la realtà.
Uno Sconosciuto li convinse a seguirlo, e loro abbandonarono tutto, felici di essere stati presi, perché la vita vale soltanto se siamo disposti a farci portare via da ciò che sino a quel momento non conoscevamo. È questa la vera sfida: siamo disposti a farci portare via da uno Sconosciuto? Ad abbandonare tutto pur di seguire un’idea di bene grande come il nostro cuore? Più che una sfida, è la speranza al suo vertice, l’augurio per questo santo Natale 2020.