Il direttore risponde. Oltre la logica del «si curi chi può»
Gentile direttore,
delle difficoltà cui è sottoposto il popolo greco sono piene le cronache, ma sul seguente aspetto in particolare credo sia necessaria una riflessione comune, sia dei cittadini che delle autorità degli altri Paesi dell’Unione europea. Mi riferisco alle conseguenze sul sistema sanitario del taglio delle spese pubbliche, che la Grecia ha dovuto accettare per l’ottenimento degli aiuti internazionali: alcuni farmaci salvavita non vengono più distribuiti, mi riferisco in particolare ai chemioterapici, e le forniture ospedaliere sono state fortemente ridotte, mettendo a rischio, per il futuro imminente, le prestazioni fondamentali alla popolazione. Non mi sfugge che la responsabilità di questa situazione grava pesantemente su una parte del popolo greco e soprattutto sulla sua classe politica, ma mi chiedo fino a che punto sia legittimo accettare non solo l’impoverimento e la drastica riduzione della qualità della vita della popolazione, ma anche il diritto alla vita stessa. Perché di questo si tratta: se non ti curi dal cancro muori, muori in fretta e soffrendo più del sopportabile. Nessun Paese europeo può accollarsi il debito di un altro, è stato ripetuto in questi giorni. Ma esiste un compromesso percorribile tra il sostegno indiscriminato e non sostenibile da parte degli altri Paesi comunitari e il «paga quanto devi restituirci, taglia quello che puoi, il resto non ci interessa»? Forse una quota del prestito strettamente correlata alle spese sanitarie essenziali, da restituire con modalità sostenibili (interessi zero e tempi lunghi)? Una tassa di scopo da finanziare con prelievi sulle transazioni finanziarie in tutta l’Unione? Un contributo di solidarietà da parte dei Paesi comunitari messi meglio della Grecia (tra questi sicuramente l’Italia), ricavato dalla rinuncia a qualche sistema d’arma non strettamente necessario (un F35 in meno)? Chiaramente quanto vale per i malati greci deve valere anche per quelli spagnoli, portoghesi, irlandesi e di tutti i Paesi dell’Unione. In conclusione, credo che se ignoriamo, come comunità e classe politica, situazioni tanto drammatiche di altri cittadini comunitari, delle radici cristiane dell’Europa non resti molto e si sia poco credibili nel rivendicarle.
Andrea Pandolfi