Verso il vertice Onu. La ragione deve aiutarci a superare la logica del conflitto
Nelle intenzioni del segretario generale dell’Onu, António Guterres, il “Summit del futuro” ha l’ambizione di realizzare «una visione inclusiva e sostenibile del nostro pianeta attraverso l’adozione di patti e dichiarazioni strategiche in grado di orientare le politiche e le azioni globali». I temi all’ordine del giorno (sviluppo sostenibile, pace, innovazione tecnologica, giovani, governance globale) sono tutti fondamentali. E saranno affrontati nella prospettiva di un multilateralismo basato su cooperazione e dialogo.
Se si guarda allo stato attuale del pianeta – attraversato da gelidi venti di guerra, in fase di de-globalizzazione e sempre più incerto sugli impegni presi in tema di lotta al riscaldamento globale – il Summit può apparire una iniziativa velleitaria. Un incontro di “anime belle” incapaci di confrontarsi con la dura realtà delle cose, che va in tutt’altra direzione. Prova evidente di un’Organizzazione delle Nazioni Unite ormai irrilevante e che perciò si rifugia in dichiarazioni generiche, a fronte della sua incapacità di contribuire a risolvere le crisi che scuotono il mondo.
Una lettura di questo tipo non è priva di buone ragioni. Non c’è dubbio, infatti, che le tante crisi globali sono la prova dell’inadeguatezza degli assetti istituzionali costruiti dopo la Seconda guerra mondiale. Che vedevano proprio nell’Onu l’embrione di un una nuova forma di governance internazionale. Una crisi che ha nell’involuzione del Consiglio di sicurezza, bloccato dai veti incrociati delle grandi potenze (Usa, Cina, Russia, Regno Unito e Francia), la sua manifestazione più evidente.
In realtà, il Summit intende sollevare proprio tale questione: come va riprogettata l’Onu di fronte alle sfide del tempo presente?
Negli ultimi novant’anni il mondo ha fatto enormi passi in avanti, tutti nella direzione di rendere ancora più urgente il rafforzamento di una governance globale. Citiamo tre grandi trasformazioni: la possibilità della guerra atomica che minaccia l’umanità; l’integrazione tecno-economica che ha ormai tessuto un’interdipendenza da cui non ci si può più separare; l’emergere del cambiamento climatico che colpisce il pianeta nella sua interezza.
In tali nuove condizioni storiche, la linea di Guterres è quella della ragione contro la stupidità, del dialogo contro la sopraffazione. Al contrario, è la visione del mondo che domina nelle cancellerie della maggior parte dei Paesi – tutta centrata sugli interessi nazionali e sui relativi obiettivi di potenza – a essere anacronistica e irrealistica. Il tema della guerra, ad esempio, lo avvertiamo tutti molto vicino. Ma, come è stato ripetuto da tante voci autorevoli, nel contesto contemporaneo l’idea stessa di “vittoria” perde di significato. A dimostrarlo l’insensato attacco di Putin all’Ucraina (con più di un milione di morti!) che ha creato una situazione disastrosa da cui ora nessuno sa più come uscire: comunque andranno le cose, il vincitore non ci sarà. Avranno, avremo perso tutti.
Lo stesso si può dire per quanto riguarda l’economia. Se la globalizzazione pensata ingenuamente come panacea di tutti i problemi ha manifestato i suoi limiti, allo stesso modo l’idea di rinchiudersi in una guerra commerciale tra aree del mondo, oltre a essere senza futuro, non è neppure praticabile. I temi dell’energia, delle materie prime, della finanza, della tecnologia riguardano necessariamente tutti. E, d’altra parte, non ci può essere alcuna crescita economica senza continuare il processo di integrazione di quella quota di popolazione ancora esclusa dal benessere che oggi siamo in grado di generare.
Per non dire delle grandi questioni delle migrazioni e del riscaldamento climatico, questioni che possono essere affrontate solo nello spirito del dialogo e della collaborazione, cercando di trovare quei compromessi – sempre difficili, ma necessari – per andare nella direzione del bene comune, sempre più pre-condizione di ogni sviluppo locale.
Ha dunque ragione Guterres: il mondo ha bisogno di una nuova governance se non vuole sprofondare nella spirale di una “guerra civile globale”. Affinché questa visione possa affermarsi è però necessario che l’opinione pubblica si mobiliti. A cominciare dai giovani.
Non è vero che il mondo è andato avanti perché il più forte ha sconfitto il più debole. La storia piuttosto insegna che si avanza perché di fronte alle sfide più difficili la ragione, nella sua integralità, è capace di illuminare la strada del futuro, animando quella speranza di un mondo migliore che letteralmente smuove le montagne. L’auspicio, pertanto, è che nelle scuole, nelle università, nelle associazioni e nelle parrocchie si parli nelle prossime settimane dei risultati o delle mancanze di questo summit. Aiutiamoci a sconfiggere la logica triste della potenza e del conflitto per abbracciare con speranza l’unica via che la nostra ragione ci indica per il futuro di tutti.