Una strage mancata e quattro persone. Oltre la gran volgarità
Qui si parla di quattro persone. E di una grande volgarità. Andiamo per ordine e cominciamo dalle persone.
Le prime due persone sono Ousseynou l’attentatore e Rami il piccolo eroe. Entrambi stranieri, entrambi italiani. L’attentatore e stragista mancato di Crema – franco-senegalese d’origine – è italiano anche per la legge vigente, il piccolo eroe che ha permesso a un gruppo di bravissimi Carabinieri di sventare quasi miracolosamente una tragedia in corso è invece italiano "solo" per vita quotidiana, per istruzione e – come ha rivelato ieri suo padre, egiziano d’origine e da 18 anni in Italia – per desiderio. Un desiderio a tutt’oggi impossibile da realizzarsi. Perché con le regole attuali (e le ulteriori complicazioni introdotte negli ultimi mesi) Rami sarebbe destinato a rimanere per parecchi anni ancora nel limbo dell’italianità senza cittadinanza a cui lo ha condannato l’incapacità dei parlamentari della scorsa legislatura a dominante di centrosinistra di concludere positivamente, all'insegna del saggio principio dello ius culturae, la riforma di norme risalenti al 1992 e nel quale continua a relegarlo la polemica indisponibilità degli attuali membri del Parlamento, a dominante giallo-verde, ad anche solo ragionare sulla questione. Se riceverà la cittadinanza, Rami l’avrà insomma solo ed eccezionalmente "per premio", grazie a ciò che ha fatto per i suoi compagni e compagne e per se stesso. E se Ousseynou, italiano per matrimonio, perderà la sua cittadinanza sarà solo "per punizione", in forza di una norma introdotta con la conversione del cosiddetto Decreto Salvini. Ma la cittadinanza non può essere una questione di premi o di punizioni. La cittadinanza è una condizione, cioè è una realtà, che comporta diritti e doveri, che si può solo riconoscere e che non si può inventare e neppure si dovrebbe mai pretendere di "scorticare" da un essere umano. Rami a suo modo ce lo ha dimostrato, ricordandoci mentre tanti tuonavano contro «l’accoglienza» e si scagliavano contro l’«integrazione» che la scolaresca della quale Ousseynou voleva far strage era costituita da bimbi italiani – tutti italiani – di diverse pelli e di stessa condizione. Solo che la condizione di cittadini di alcuni di loro è pervicacemente negata, per puntiglio ideologico e per autolesionismo. Siamo felici, perché sono tutti vivi e sono tutti figli nostri.
Le altre due persone sono due persone di rilievo: Pietro Senaldi, direttore responsabile del quotidiano "Libero" e il cardinale Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia-Città della Pieve e presidente della Cei. Il collega Senaldi ieri mattina non ha pubblicato un articolo, ma si è abbandonato a una sequela di insulti, illazioni, falsità e luoghi comuni vergognosi per violenza, superficialità e inconsistenza. E ha scagliato tutto questo contro il cardinale Bassetti, accusandolo – di fatto – di essere una sorta di mandante evangelico dello stragista mancato Ousseynou Sy. Per di più, lo ha fatto sotto un titolo di triviale ineleganza, che non si sa se attribuire a lui – che, comunque, ne porta la responsabilità formale e morale – o al suo maestro nonché 'direttore politico' Vittorio Feltri. Negli ultimi anni ho deciso, nella mia responsabilità (che non è sinonimo di infallibilità), di evitare di fare eco su queste pagine alle 'imprese' di giornalisti inclini alle manganellature mediatiche. Penso infatti che l’unico modo per mantenere un tasso decente di civiltà in un dibattito pubblico avvelenato da forzature, bufale grossolane e studiate mistificazioni (contro lo straniero immigrato o migrante, il politico, l’insegnante, il medico, il nomade, il prete...) è non alimentare onde melmose. Dunque: nettezza e mitezza, rispetto e chiarezza. E tenace distanza da certi modi e toni. Vedendo tutto, nulla dimenticando e tenendo bene a mente come 'non si fa' per la prossima occasione in cui ci sarà da argomentare contro qualcosa o sulle scelte o le parole di qualcuno. Ma quando è troppo, è troppo. Non ripeto neanche una sillaba di ciò che il collega Senaldi ha sbattuto in pagina, prendo solo un concetto da lui evocato la «sfortuna» delle coincidenze... Chieda al piccolo Rami – italiano, ma a tutt'oggi senza riconosciuta cittadinanza – che cosa vuol dire la non-accoglienza 'di legge' in una nazione di cui pure si è parte. E si domandi, Senaldi, se il fuoco d’odio che ha bruciato Ousseynou e doveva incenerire le sue vittime designate trova esca nella predicazione cristiana e civile di fraternità e di giusta legalità di Gualtiero Bassetti, cittadino e vescovo, o faccia a gara con il fuoco distruttivo alimentato da chi giudica una persona non per le sue colpe (e i suoi meriti), ma per la sua pelle, la sua fede, la terra d’origine della sua famiglia. È questa la grande volgarità di cui qui, infine, si parla. Parole e pensieri volgari come certe speculazioni politiche e certi titoli di giornale, confezionati con ostentata e xenofobica arroganza persino in momenti in cui ci sarebbe stato solo da dire 'grazie' a quanti in un giorno di marzo, alla vigilia della primavera, hanno fatto sì che la morte non prevalesse. Il caso non esiste. E i miracoli non dipendono da noi, ma qualche volta hanno anche il nome di un impaurito eppure coraggioso ragazzino italiano nato egiziano e l’amata divisa dei Carabinieri. Ci rammentano che la nostra vita, la vita di tutti è fatta della stessa umana materia e che nessuno si salva da solo. È questo che conta.