Dilagare della depressione. Oltre il male di vivere con le domande più vive
C’è un male strisciante che si sta impossessando di tutto il mondo. Non è l’obesità, nemmeno il suo atroce contrario: la fame. Né l’alcolismo. Né le molte altre piaghe antiche o recenti che affliggono l’umanità. La malattia che si sta impossessando del genere umano è la depressione.
I dati, tempo fa, sono stati certificati dalla Società italiana di neuropsicofarmacologia durante un convegno a Milano, per voce del presidente, Claudio Mencacci. Numeri da spavento. Il 4,4% delle popolazione mondiale soffre del male oscuro, dal 2005 al 2015 l’incremento è stato del 18%. Nessuna fascia d’età si salva, anzi, con il passare degli anni la depressione abbassa la soglia anagrafica delle sue vittime, a partire dalla primissima adolescenza. Sono molte le motivazioni tirate in ballo per spiegare l’invisibile e silenziosa esplosione della depressione, a partire dai ritmi frenetici del nostro vivere, il rapporto via via più morboso con la tecnologia, rete in testa, sino all’utilizzo smodato di sostanze psicotrope, una via privilegiata per far entrare nella nostra vita questa terribile malattia. C’è però un detonatore ben più potente di tutte queste cause elencate, tutte assolutamente condivisibili, che ha direttamente a che fare con la nostra sostanza umana, una sostanza che stiamo sempre più perdendo di vista, di cui dimentichiamo la portata e i limiti, che non è più materia di dialogo e di educazione familiare. Questo è il centro della questione. Stiamo retrocedendo a una sorta di analfabetismo esistenziale.
Alcuni temi centrali della vita sono spariti dai nostri discorsi, gli interrogativi che da sempre hanno accompagnato la vita dell’uomo non sono più leciti. Dio. Morte. Eternità. Sono parole divenute tabù, da tenere nel segreto della nostra mente, perché parlarne non è accettato socialmente, perché si deve parlare di altro, di tutto quello che pensiamo ci possa bastare, vedi i tanti obiettivi che ci diamo in pasto. Ma eliminare dal confronto umano certi temi è impossibile.
L’uomo non può non interrogarsi sul suo destino. Il fatto che non lo possa condividere liberamente con i suoi simili non vuol dire togliere dalla sua mente e dal suo cuore la questione. Il risultato di questo imbarbarimento è la solitudine. L’uomo contemporaneo vive gli interrogativi di sempre solo con se stesso, quasi vergognandosene, pensando che sia l’unico al mondo a ritrovarsi con quelle domande impossibili da esaudire piantate al centro del petto. Dalla solitudine alla nevrotizzazione, la ma-lattia, il passo è breve. Un esercito di depressi, ansiosi, vaga per il mondo, e saranno sempre di più. Sino a quando non si tornerà al vero alfabeto dell’esistenza, ai temi che valgono oggi come ieri, come domani. Restituire all’uomo la possibilità di parlare della sua essenza, sin da bambino. Fare dei nostri limiti terreno d’incontro, dialogo e scambio. Senza sensi di colpa, senza paure. Tornare alle domande che ci abitano da sempre, alzare il nostro sguardo sino a Dio, come uomini vivi, semplicemente.