La questione seria. Oltre crisi e neoliberismo: rifondare la solidarietà
All’elettore, al padre e alla madre di famiglia, ai giovani che desiderano costruirsi una vita e agli anziani alla ricerca di un po’ di serenità, i giochi di palazzo non interessano per nulla. Insofferenti allo spettacolo triste di questi giorni, non vorrebbero altro che una politica seriamente impegnata a lavorare per creare le condizioni in un futuro che si intravvede, ma che ancora non c’è. Nella consapevolezza che il bene comune non è mai qualcosa di statico, ma un cammino che si fa insieme.
L’Italia ha votato meno di un anno e mezzo fa l’attuale Parlamento. Tutti ricordano che fu necessaria una lunghissima trattativa per far nascere il 'Governo del cambiamento' giallo-verde che ha promesso un rilancio in grande stile del nostro Paese. Con riforme che volevano imprimere una netta discontinuità rispetto alle politiche seguite in precedenza. Sappiamo che le cose sono andate diversamente. Né poteva essere altrimenti, dato che le prospettive di M5s e Lega erano nettamente divergenti. Poi sono venute le schermaglie per vincere le elezioni europee a cui sono seguite settimane di agonia che hanno portato alla apertura della crisi. Si discute adesso se formare un nuovo Governo o tornare alle urne. Data la situazione di criticità in cui si trova l’Italia e i preoccupanti scenari internazionali – dove si moltiplicano i focolai di tensione – il nostro povero elettore medio continua a chiedere una cosa sola: siate onesti, cari politici. Non si tratta di decidere chi conquista il potere. Attraverso l’accelerazione verso nuove elezioni o un governicchio per salvare la poltrona. Fallito il 'Governo del cambiamento', il vostro dovere è ora di indicare all’Italia la via che volete seguire. La posta in gioco è il futuro dei nostri figli e la capacità dell’Italia di essere ancora parte dei grandi processi di vero cambiamento che accompagneranno i prossimi decenni.
A destra, a dire il vero, oggi c’è qualche chiarezza in più rispetto a un anno fa. Archiviato il neoliberismo (che in Italia ha avuto Berlusconi come interprete) Salvini è capofila tra i sovranisti europei: contrasto netto con Bruxelles, centralità della questione sicurezza, chiusura delle frontiere. Insomma l’Italia che segue Trump, ed è in sintonia con Putin, sulla strada di un incattivimento dei rapporti sociali, interni e esterni, nella sostanziale indifferenza verso i temi dell’emergenza climatica. Con sconfinamenti impropri sul piano dei rapporti tra politica e religione – come dimostra l’ormai ricorrente utilizzo strumentale dei simboli religiosi – e scivolamenti dal punto di vista istituzionale (un ministro dell’Interno può parlare da capo di partito da una spiaggia?). A sinistra, invece, continua a prevalere la confusione. Come in tutto resto del mondo, i partiti di sinistra sembrano non aver ancora capito che con il 2008 è cambiato tutto e che di conseguenza lo schema dell’individualismo radicale è fuori tempo. La domanda che sale dal popolo è quella di ricostruire il legame sociale, di rifondare la solidarietà, di riconoscere il valore del limite. Il che significa superare definitivamente la prospettiva aperta da Clinton e Blair negli anni 90, senza peraltro lasciarsi prendere dalla nostalgia per la socialdemocrazia del Novecento. Mentre i 5stelle, dopo essersi fatti le ossa sulla pelle del Paese, sono capaci di diventare grandi? Sono cioè capaci di maturare una visione più coerente al di là della oscillazione tra decrescita felice e assistenzialismo?
Dentro questa crisi – e dietro le tattiche dei partiti e dei loro leader – si nasconde dunque la scelta della strada che si vuole intraprendere per il futuro. In crisi il cosmopolitismo della globalizzazione, ci aspetta solo la strada del sovranismo reattivo? Sarebbe bello se, invece, da questa crisi nascesse un’ipotesi nuova. Un’agenda ambiziosa capace di trasformare i problemi che tutti conosciamo – disuguaglianza, impoverimento, desertificazione economica, crisi ambientale, questione migratoria – in leva per un nuovo inizio.
La ripresa di ruolo della politica sollecitata dalla crisi di questi anni reintroduce, infatti, la questione del limite che nella fase precedente era stata messa tra parentesi. Un limite che non va però inteso come negazione, frustrazione, repressione, ma come ritorno della solidarietà e, con esso, del senso. Per usare una metafora di Carl Schmitt, dopo esserci inoltrati (e persi) nell’oceano della globalizzazione, oggi si tratta di lavorare per far sorgere 'terra umana' nel mare della tecnica. Nella consapevolezza che nessuno si salva da solo. Stando però attenti alla ambiguità che tale termine porta con sé. Terra infatti può avere una declinazione bellica (come conquista, divisione, spartizione) oppure agricola (come coltivazione e valorizzazione).
La natura intimamente relazionale e di senso di questa nuova sfida è evidente: non si tratta più di crescere indistintamente. Di inseguire l’ultima possibilità. Né a livello individuale, né collettivo. Si tratta, invece, di riscrivere un modo per stare insieme capace di far sorgere una differenza di valore che, tenendoci in contatto con il mondo circostante, ci costituisce come persone e come comunità. Qualche volta i miracoli avvengono. E allora non perdiamo la speranza che con la crisi che si è aperta l’Italia possa ritrovare il filo di quel futuro che ha perso da tempo: la nuova politica di cui abbiamo bisogno è quella capace di farci raggiungere insieme un livello di maturità (economica sociale, istituzionale, umana) più avanzata. Finalmente liberati dall’immaginario cosmopolitico che ha identificato la crescita con l’espansione. Senza finire prigionieri delle sirene sovraniste che predicano chiusura, contrapposizione, paura. E qualche volta persino odio.