L a prestigiosa rivista
Lancet, con un lancio d’agenzia, ha annunciato uno studio sull’evoluzione delle 'cure' di fine vita in Olanda, mirante a monitorare le modalità di applicazione della legge che nel 2002 ha legalizzato l’eutanasia e il suicidio assistito.
Le precedenti rilevazioni avevano riguardato i dati del 2001 (
ante legem) e del 2005.
Secondo lo studio, le morti per sospensione dei sostegni vitali sono rimaste stabili nel tempo (18,2 % nel 2010), mentre i casi di eutanasia e suicidio assistito sono passati dal 2,8% di tutte le morti nel 2001 al 3% del 2010. I casi di eutanasia involontaria (senza il consenso del paziente) sono scesi dallo 0,7 allo 0,2%. Il messaggio è tranquillizzante: la legge olandese non avrebbe promosso il diffondersi della mentalità e delle pratiche eutanasiche. La legge avrebbe solo fotografato l’esistente, senza far avanzare la classe medica e la società olandese lungo il pendio scivoloso della banalizzazione della vita umana. Corollario non dichiarato esplicitamente dalla rivista britannica: la legalizzazione dell’eutanasia (in discussione in Gran Bretagna) non fa correre rischi alla società britannica (e a quelle di altri Paesi).
Davvero è così? Leggendo l’articolo, la realtà appare molto diversa. Peccato però che tali letture siano riservate agli addetti ai lavori e che sulla grande stampa e nell’opinione pubblica passi solo il messaggio 'sedativo' delle agenzie. Vale dunque la pena fare un poco di controinformazione, esaminando proprio i dati riguardanti la cosiddetta "sedazione profonda continua".
Questa non è esattamente un intervento palliativo. Mira, infatti, non a controllare il dolore, ma a far entrare il paziente in un tunnel senza via d’uscita, al termine del quale vi è inevitabilmente la morte. I farmaci sono, infatti, somministrati a dosi tali da abolire la coscienza, mentre vengono abitualmente sospese le altre terapie e sono arrestate l’idratazione e la nutrizione.
Leggendo il testo integrale del report, si apprende che la sedazione profonda continua è passata nello stesso periodo dal 5.6 % del 2001, al 7.1 % del 2005, alll’11% del 2010. Otto anni dopo l’entrata in vigore della legge del 2002, il numero di casi di sedazione terminale è dunque raddoppiato, interessando nel 2010 ben 16.700 cittadini olandesi.
Anche il numero di quelle che vengono definite "morti dopo alleviamento intensificato dei sintomi" risulta aumentato, passando dal 20.1 al 36.4% delle morti totali. È significativo che in oltre la metà dei casi di "morte dopo alleviamento intensificato dei sintomi", la decisione sia stata presa senza consultare né il paziente né i suoi familiari. La morte in questi casi è preceduta da somministrazione di oppiacei e psicofarmaci, invece che da miorilassanti e barbiturici, come avviene per l’eutanasia riconosciuta e per il suicidio assistito.
Benché non possa essere data per scontata un’intenzionalità eutanasica nella scelta della sedazione profonda continua e ancor meno nella scelta di intensificare farmacologicamente il controllo dei sintomi, lo stesso editoriale di commento che accompagna l’articolo di
Lancet
prospetta la possibilità di confusione nella pratica clinica tra l’eutanasia e la meno controversa sedazione profonda continua: «I medici che affermano di praticare la sedazione palliativa attraversano talora la linea di confine con l’eutanasia». È certo tuttavia che il forte aumento dei pazienti "morti dopo alleviamento intensificato dei sintomi" e, soprattutto, il raddoppio di quelli morti durante sedazione continua profonda appaiono molto sospetti e non giustificati da reali modificazioni della scena clinica. In altri termini, vi è il sospetto che la percentuale dei casi di eutanasia resti bassa solo perché i medici non chiamano eutanasia la morte affrettata con gli oppiacei e gli psicofarmaci, nella metà dei casi senza neanche discuterne con il paziente e i familiari.
In realtà la sedazione continua profonda, per l’impossibilità (intenzionale) di tornare indietro e per i suoi effetti (acceleratori della morte) sui centri encefalici che regolano le funzioni vitali, resta difficilmente distinguibile dall’eutanasia e ha poco a che fare con le vere cure palliative.
Attenzione dunque alle false rassicurazioni delle riviste internazionali sulla cosiddetta 'buona morte' all’olandese.