Opinioni

La distanza tra sport a cinque cerchi e calcio avvelenato. Ossigeno olimpico

Francesco Ognibene sabato 11 agosto 2012
In giorni nei quali è capitato anche ai più restii di palpitare per una parata e risposta, sospirare davanti a un carpiato, smoccolare se c’è un decimo di punto in meno o esultare per un piattello in frantumi, fa uno strano effetto sentir snocciolare i verdetti per il calcio-scommesse: come un brusco richiamo a una realtà lontana e molesta. Dal clima elettrizzato della fiera olimpica, col rutilante succedersi di avventure nei territori ai più quasi ignoti della pallanuoto o del kayak, siamo restituiti bruscamente alla trita ferialità di quello che pure è il nostro sport nazionale ma che – paragonato alla festa colorata e curiosa degli sport meno mediaticamente celebrati se non proprio "minori" – sa di vizio al quale non sappiamo resistere. Il tifo per la squadra del cuore è cosa ben diversa (verrebbe da dire: è un altro sport) rispetto al clima irrespirabile delle partite truccate, ai commenti velenosi e alle reciproche contumelie che circolano tra le opposte fazioni davanti alla carta bollata dei giudici federali.Proprio quando l’euforia di piscine e palazzetti a cinque cerchi è quasi riuscita a convincerci che lo sport è gioia, quest’improvvisa zaffata di pesante aria calcistica ci riporta con i piedi per terra, quasi a spegnere un bel sogno. E viene spontaneo chiedersi come facciamo, abitualmente, ad appassionarci per un teatrino dove abbondano la recriminazione a prescindere e la semina di sospetti per liti future, mentre resta il timore che sia ancora insufficiente il repulisti morale di un ambiente ormai alquanto compromesso e che vede coinvolti anche personaggi da copertina. Londra non ci ha risparmiato delusioni etiche, come insegna il triste caso del marciatore Schwazer, ma di fronte a una vicenda sulla quale va ancora fatta piena chiarezza la sensazione è che si tratti del grave sbaglio di un uomo fragile e non del frutto inevitabile di un ambiente malato. L’atletica non esce deturpata da un caso di doping, per quanto clamoroso: lo spettacolo abbagliante di Usain Bolt, la cavalcata inarrestabile del kenyano Rudisha sugli 800, le lacrime dell’ostacolista cinese Liu Xiang per un altro tendine di traverso tra lui e l’oro olimpico sono capitoli avvincenti del grande romanzo umano, di quel sorprendente racconto che non ammette macchie e, quando ne scopre una, la espelle come un corpo estraneo. Il calcio non incoraggia certo le partite truccate ma la sua intera fisionomia, sempre esasperata come una smorfia ormai incisa su quello che fu un bel volto, sembra contemplare ogni possibile eccesso, dallo stipendio di Ibrahimovic alle speculazioni complottiste per un rigore negato.Intossicati di calcio (di questo calcio), respiriamo a pieni polmoni l’aria fine delle imprese olimpiche, di successi clamorosi e sconfitte brucianti, di discipline bellissime e quasi sconosciute, di regole indecifrabili per contese avvincenti, di campioni ignoti che si scoprono anche grandi persone (e non solo personaggi). È vero: alzi la mano il tifoso di calcio che, tra le notizie sportive, non cerca anzitutto l’amichevole agostana della propria squadra. Ma fa riflettere la sbalorditiva distanza tra il senso di soffocamento che dà la mischia calcistica permanente e il fascino di sport nei quali il successo è il culmine di un impegno senza sconti e polemiche, allergico alle ciance (non a caso, le troppe chiacchiere sono l’anticamera di clamorosi fallimenti), di una pratica paziente coltivata limando giorno dopo giorno centimetri e centesimi. Dentro un risultato – una medaglia o un ventesimo posto – c’è un’energia e una tenacia, un’intelligenza e una grazia lungamente allenate, sapendo che il riflettore si accenderà per un solo giorno, forse. È la gratuità della pratica sportiva frequentata per passione, la felicità con pagaia, sciabola o scarpette chiodate. Il triplista Donati che ottiene finalmente il bronzo per il quale lavorava da 15 anni è il simbolo di questo sport pulito e semplice, del quale scopriamo di avere un’acuta nostalgia. Abbiamo un quadriennio davanti per capire che, oltre al calcio, c’è ben altro. Alleniamoci anche noi: quest’ossigeno sportivo non può che farci bene.