La dura realtà, oltre ogni retorica. Ogni guerra si fa ai poveri
Le sanzioni contro la Russia di Vladimir Putin stanno facendo davvero male alla Russia. Si ipotizza che la minore 'liquidità' causerà fallimenti per alcune imprese e forte aumento dell’inflazione. In parallelo le restrizioni verso gli oligarchi russi potrebbero essere un motivo serio per mettere in discussione la leadership politica. E fin qui, potremmo dire, tutto bene. Le restrizioni ai magnati del gas non sono, però, paragonabili alle restrizioni imposte a chi è in condizioni di povertà. In Russia e non solo lì.
Nella storia economica e politica non sono mancati Stati che hanno usato le sanzioni contro altri Stati. Ma il risultato ha regolarmente e spesso drasticamente peggiorato la vita dei poveri di entrambe le società. E paradossalmente ha fatto aumentare il consenso verso i 'capi di regime', con la scusa (e la narrativa) del nemico esterno. Nella storia italiana, ricordiamo Mussolini sanzionato internazionalmente per l’invasione dell’Etiopia e la narrazione della «perfida Albione». La realtà è che i Paesi 'a bassa democrazia' sono pronti a far soffrire i propri cittadini – anche se deboli – per raggiungere obiettivi strategici e militari. Le sanzioni economiche faranno male anche ai cittadini poveri in Italia e in Europa. Anzi, più male. Pure questo è un effetto prevedibile. Il costo dell’energia in Italia è già cinque volte superiore a quello degli Usa e basterebbe questo per capire che cosa accadrà per famiglie e imprese: redditi più bassi e minori posti di lavoro, proprio nella fase della ripresa. All’aumento del costo del gas va già, e andrà di più, aggiunto il rincaro del carburante, che incide su tutte le merci trasportate su gomma, e perfino del grano e del mais. Il tutto porta al solito punto, il rialzo dell’inflazione che erode il valore d’acquisto dei salari e degli stipendi: soprattutto di quelli bassi.
Dunque il collegamento tra sanzioni e povertà è chiaro, diretto, evidente.
Aggiungiamo che i meccanismi sanzionatori non sono sempre efficaci o lo sono parzialmente, per effetto delle triangolazioni con Stati non oggetto di sanzioni. L’economia cerca sempre la via per uscire e trattare. Usare l’economia in modo esattamente opposto – per non trattare – è rischioso. Ma è anche la strada per rispondere in modo nonmilitare a un attacco militare, senza provocare un’ulteriore escalation militare. Se questa è la strada, servono però due attenzioni. La prima attenzione è puntare molto decisamente sulle sanzioni selettive, perché sono efficaci. Si ricordano i casi contro Slobodan Milosevic e i membri del suo 'cerchio'. Le attuali sono anch’esse abbastanza selettive, stanno lasciando il segno e potrebbero avere qualche successo soprattutto quelle finanziarie – come ha analizzato ieri Roberto Petrini su queste pagine – che si medita di rafforzare ulteriormente. Le sanzioni, insomma, devono essere non solo rapide ma ben mirate: davvero 'intelligenti', capaci cioè di colpire chi effettivamente è decisore della guerra o ha a che fare con la guerra, e non chi è povero e ne subisce comunque i danni.
La seconda attenzione è accompagnare le sanzioni con interventi di sostegno alle condizioni di povertà. Questo è possibile nei Paesi di guerra attraverso la solidarietà messa in atto da organizzazioni internazionali, ong o altri organismi di assistenza e di carità a cui debbono essere garantiti 'corridoi di passaggio' e forme di aiuto diretto. Nei Paesi che invece promuovono le sanzioni, i sostegni devono essere garantiti dagli Stati stessi: potremmo anche aggiungere dagli Stati alleati, perché l’effetto delle sanzioni non è uguale neppure per tutti gli Stati che le promuovono. Nel nostro caso non è paragonabile l’effetto che determineranno in Italia o negli Stati Uniti d’America. Le sanzioni vanno, quindi, studiate con cura e vanno accompagnate da politiche sociali che limitano la gravità dei danni sulle fasce più povere del popolo. Quando si manifesta una guerra, le cose si complicano e vi è la certezza di trovarsi di fronte a scelte eticamente molto discutibili. Max Weber ci ricorderebbe che il politico agisce secondo l’etica della responsabilità e non per impulsi sentimentali o valoriali. Ma visto che gli effetti delle nostre azioni sono abbastanza evidenti, allora la responsabilità delle scelte rischia di metterci contro l’etica stessa, di ridurla a etica del male minore. Per questo la storia e la competenza possono essere decisivi nel non creare ulteriori sofferenze. Per questo si continua a ribadire l’importanza della pace e delle politiche per la pace: sono la tutela per la persona umana. Dopo la pandemia (messa tra parentesi, ma non terminata), ecco la guerra: non c’è requie per i popoli, oggi. Soprattutto per i poveri di qualunque popolo. La via della pace non è solo una questione politica, è anche – e concretamente – una questione sociale.
Portavoce Alleanza contro la povertà in Italia