Il bimbo ucciso. Odiosità chiama odio e muove a pena infinita
La cronaca dei grandi delitti segue sempre la stessa evoluzione: comincia dall’esplosione del fatto, raccontato con brutalità, prosegue con la reazione del pubblico, carica di drammaticità, si conclude, quando va bene, con il pentimento del colpevole. Di questa sequenza la fase più importante e rivelativa è la reazione del pubblico, la caterva d’insulti, minacce e malauguri che si sfoga su Facebook.
L’ultimo grande delitto della nostra cronaca è quello del patrigno che ha ammazzato a calci, pugni e colpi di bastone il figlioletto di 7 anni (qualche giornale dice di 6) della sua compagna, e ferito gravemente la sorellina, di un anno più grande. Lasciamo stare i motivi, non ci sono motivi che possano giustificare, e neanche spiegare, una violenza del genere. La reazione dei lettori è stata prevedibile, concorde, crudele. «Sei un’immondizia» diceva il primo messaggio.
Qui scrivo in italiano, ma il testo era in dialetto napoletano. «In carcere ti faranno la festa», diceva l’ultimo, cioè 'ti ammazzeranno di botte'. E non è la prima volta che il carcere è visto come un luogo di giustizia, non nel senso che è giusto condannare al carcere, ma nel senso che il carcere sa cosa fare dei condannati odiosi. I vecchi carcerati sono i giudici e i giustizieri dei nuovi carcerati, e a modo loro fanno una giustizia più giusta dei tribunali.
Questo pensa tanta gente. Questo pensano quelli che hanno reagito alla notizia dell’uccisione a calci e bastonate del bambino di 6 o 7 anni, ad opera del patrigno, che è ancora un ragazzo, perché ha solo 24 anni. In questa fase, nello scatenamento sui media, Facebook in testa, del bisogno di giustizia da parte dei lettori, si realizza quella che Aristotele chiamava 'catarsi': lo sfogo dei sentimenti che la notizia ha caricato nella massa. La catarsi ha un effetto positivo, perché sfogando i sentimenti purifica coloro che se li portavano dentro. Quei sentimenti sono naturali. Il colpevole di assassinio se li merita.
Ha commesso un orrore. In effetti, questo omicidio del bambino, e il quasi omicidio della sorellina, hanno qualcosa di disumano. Sono crimini 'lunghi'. Chi li ha compiuti, ci ha messo ore. E poi ha perso altre ore senza portare aiuto, andando in farmacia, comprando pomate inutili. Ma se fa questo, se è capace di reggere tutto questo, il colpevole chi è, cos’è, com’è? Che vita fa? È padre di una bambina, ha mai letto una riga sulla paternità? Ha un briciolo di sospetto su cos’è? Vive ponendosi qualche domanda o vive lasciandosi esistere, come una pietra, come un arbusto?
Tre bambini piccoli in una casa sono tre miniere di giochi, invenzioni, scherzi. Se n’è mai accorto, quest’uomo? «Ci picchia sempre» dice la bambina ricoverata, alla polizia che la interroga. Ha pensieri cattivi un uomo di 24 anni che picchia i bambini che si trova in casa, o semplicemente non è in grado di pensare? Chi si augura che in prigione gli spacchino la testa prova odio. Ma c’è un altro sentimento più immediato che suscita il delitto di questo 24enne, ed è un’infinita, inconsolabile pena. Quest’uomo era cieco perché viveva nel buio.