L’ospite . Dat, obiezione di coscienza: il vuoto premeditato
Caro direttore,
in questa legislatura l’Italia, che per molti anni era stata tenuta al riparo dall’onda anomala della 'rivoluzione antropologica', sta riguadagnando il tempo perduto. Chi ha accusato il nostro Paese di essere retrogrado e bigotto, oggi saluta con soddisfazione l’allineamento all’Europa su temi come quello delle unioni civili, la spinta per aprire alle adozioni gay, la propaganda sul 'gender', il cammino parlamentare di una legge sul cosiddetto testamento biologico. Ma la normalizzazione legislativa, realizzata o in progetto, non basta ancora. L’obiettivo di élite influenti, nazionali e transnazionali, è intimorire le voci dissenzienti, schiacciare il pensiero e i comportamenti non omologati.
È per questo che nel mirino c’è il diritto all’obiezione di coscienza. La libertà e incoercibilità dello spazio interiore è invenzione cristiana, ed è essenziale per affermare non solo la libertà personale, ma l’eguaglianza fra gli uomini. La possibilità di sottrarsi a un imperativo che lede princìpi umani e morali fondamentali, è conquista irrinunciabile di civiltà, per tutti. Eppure sull’aborto, benché l’obiezione sia prevista e tutelata dalla stessa legge 194, stiamo assistendo a un attacco violento e concentrico.
A mozioni parlamentari, ricorsi al Consiglio d’Europa, richieste dell’Onu, si è risposto con i dati, eloquenti e inoppugnabili, che dimostrano come il carico di lavoro per i medici non obiettori sia in media di 1,6 aborti a settimana, e non esista un problema di non applicazione della legge.
A questo punto l’attacco ha semplicemente preso forme diverse, come i concorsi, chiaramente discriminatori e incostituzionali, riservati a non obiettori. Ma la legge su consenso informato e disposizioni anticipate di trattamento (Dat), che dal 4 aprile sarà votata alla Camera, e che esclude l’obiezione di coscienza, fa di peggio. Il cuore della legge non è l’«alleanza terapeutica», cioè il rapporto di fiducia tra medico e paziente, ma l’autodeterminazione. La libertà del malato prevarica quella del medico, che non è nemmeno presa in considerazione: «Il medico è tenuto a rispettare la volontà espressa dal paziente di rifiutare un trattamento sanitario o di rinunciare al medesimo, e in conseguenza di ciò è esente da responsabilità civile o penale».
L’unico limite, assai generico, all’obbligo di esaudire le richieste del paziente, è costituito dalla «deontologia professionale e dalle buone pratiche clinico assistenziali». Traduciamo nella pratica. Mario Rossi non vuole più vivere, e chiede che si sospenda la ventilazione artificiale che gli permette di respirare e lo tiene in vita. Il medico è obbligato a farlo, e a somministrargli una sedazione adeguata che lo porti alla morte senza sofferenza.
Al medico si domanda quindi di collaborare attivamente a far morire il paziente, senza potersi rifiutare. Così accadrebbe in tutte le strutture sanitarie, inclusi gli ospedali cattolici; così si vorrebbe che accadesse al Policlinico Gemelli o al Bambino Gesù. E poiché idratazione e alimentazione vengono considerate sempre e comunque 'terapie', anche il cibo e i liquidi dovranno essere sospesi su richiesta, in particolare attraverso le «disposizioni anticipate di trattamento», cioè quando il paziente non è più vigile, e il medico non può nemmeno tentare di parlargli, di fargli magari cambiare idea. Può darsi che grazie a leggi come questa saremo più europei, dentro il flusso della storia e del progresso. Ma può darsi anche che il flusso della storia, se non siamo attenti, porti con sé minore libertà, minore civiltà e democrazia, e che riservi scenari che davvero mettono paura.
*Deputata di Usei-Idea