Ciò che è avvenuto in Costa d’Avorio è senza precedenti.Il presidente francese Nicolas Sarkozy ha dato il via libera in questi giorni a una vera e propria azione di forza per stanare dal suo bunker di Abidjan il presidente uscente Laurent Gbagbo. Un intervento sotto l’egida delle Nazioni Unite e in cui hanno preso parte direttamente anche i caschi blu dispiegati nel Paese africano. Il placet è venuto dal segretario generale dell’Onu Ban Kimoon con l’intento dichiarato di proteggere la popolazione civile di Abidjan da una guerra civile strisciante. Ma a pagare il prezzo più alto in vite umane è stata proprio la popolazione locale. E mentre il settimanale l’
Express ha denunciato l’accentramento eccessivo nelle mani di Monsieur le presidentdella diplomazia francese, il governo di Mosca ha duramente criticato la scelta congiunta di Sarkozy e Ban Ki-moon sostenendo che la loro è stata un’intromissione in un conflitto interno e in appoggio a una delle parti senza rispettare i limiti previsti dalle risoluzioni delle Nazioni Unite e dal diritto internazionale. Premesso che l’amicizia tra il presidente eletto ivoriano Alassane Ouattara e Sarkozy è una vecchia storia – nel 1990 quando era solamente sindaco di Neuilly-sur-Seine, comune della periferia di Parigi, Sarkò aveva celebrato il matrimonio dei coniugi Ouattara – stiamo assistendo a una riedizione della
Françafrique, l’epoca postcoloniale in cui all’Eliseo, con grande discrezione, si decideva molta della politica africana. Le ultime notizie da Abidjan indicano che il corso degli eventi sta volgendo all’epilogo, ma nel peggiore dei modi. La soluzione negoziale che sembrava ancora percorribile poche settimane fa e che era stata suggerita dalla società civile ivoriana è stata lasciata cadere – parafrasando il professor Richard Banegas, del Département de Science Politique de la Sorbonne – utilizzando elicotteri da combattimento e carri armati al posto della crudele
chicotte, la frusta dei colonizzatori.A parte la possibilità di realizzare un governo di unità nazionale come avvenuto tre anni fa in Kenya, sarebbe stato anche sufficiente organizzare in Costa d’Avorio un secondo turno elettorale nei dipartimenti dove erano state segnalate frodi o gravi irregolarità durante il ballottaggio delle presidenziali del 28 novembre scorso. Una scelta che forse poteva evitare la carneficina di questi giorni. Così invece si è aperta la strada a un nuovo regime in una regione estremamente sensibile dell’Africa, dove le componenti saheliane, a forte connotazione musulmana, tendono a prendere sempre di più il sopravvento, indipendentemente dalle tendenze e dagli orientamenti delle popolazioni autoctone. Gbagbo ha le sue grandi responsabilità essendo come Ouattara il leader di una potente oligarchia, ma la diplomazia internazionale ha trasformato i
peacekeeper dell’Onu – concepiti come forza d’interposizione tra gli opposti schieramenti – in un’armata belligerante.L’Unione Africana esce malamente dalla vicenda, essendo stata delegittimata, non solo per le sue divisioni interne, ma anche per la debolezza di fronte allo strapotere francese. E non è un dettaglio marginale nella scelta dell’Eliseo il fatto che in Costa d’Avorio vivano 12 mila francesi molti dei quali impiegati nelle oltre 150 filiali di imprese d’Oltralpe tra le quali spiccano Bouygues, Total, Societé Générale e Areva.Ancora una volta sono gli affari a prendere il sopravvento sulle ragioni della pace.