Voto in Colombia. Nuova sfida per il Sudamerica: la rivoluzione delle Costituzioni
I passaggi dal Venezuela alla Colombia sono stati resi più facili dal nuovo presidente
La vittoria elettorale in Colombia di Gustavo Petro e Francia Márquez – una vittoria “storica” in un Paese da sempre governato da presidenti espressione dell’establishment conservatore e proprietario – ha portato finalmente sotto gli occhi, spesso pieni di pregiudizi, del Global North, Italia compresa, le trasformazioni politiche e istituzionali che ormai da decenni stanno attraversando l’America latina. Trasformazioni ben note agli studiosi, che non hanno avuto bisogno di celebrare (o, al contrario, svilire e attaccare) l’elezione di un economista con una antica militanza nella guerriglia di sinistra e di una giovane donna afrodiscendente di umili origini, in prima linea nelle battaglie ambientaliste, per accorgersi che il continente latinoamericano è diventato un laboratorio del costituzionalismo, dove si intrecciano, non senza fatiche, dolori e conflitti spesso drammatici, sfide e possibilità per il mondo che verrà.
L’ anno chiave per comprendere quel che sta accadendo in America Latina è, come altrove, il fatidico 1989. Fino a quella data, gli Stati latinoamericani sono rimasti preda della divisione del mondo in due blocchi, che per decenni ha portato a un inasprimento del controllo – politico, militare ed economico – statunitense, ben radicato peraltro nella “dottrina Monroe”. In tale quadro vengono di solito letti i regimi autoritari instaurati nel Secondo dopoguerra nella maggior parte dei Paesi della regione, tra i quali i più noti, ma che rappresentano solo la punta di un iceberg, restano quelli di Pinochet in Cile e Videla in Argentina. Soltanto con il crollo del blocco sovietico e l’allontanarsi del “pericolo comunista”, gli Stati latinoamericani sono riusciti, non senza difficoltà, a intraprendere loro autonome strade. In questo percorso, un ruolo crescente è stato affidato alle Costituzioni, che da meri strumenti di potere sono andate via via acquisendo la dimensione di patti sociali volti a sancire un “nuovo inizio”. Così, molti Paesi si sono orientati verso modelli, almeno sulla carta, di costituzionalismo sociale, assai distante da quello statunitense e più vicino a quello di matrice europea, in particolare radicato nell’Europa meridionale e ben espresso dalla Costituzione italiana. Costituzionalismo sociale che peraltro trovava nella regione già un esempio significativo nella costituzione rivoluzionaria del Messico, del 1917.
In contesti caratterizzati dalla concentrazione della ricchezza nelle mani di poche famiglie e grandi gruppi, e da una diseguaglianza economica elevatissima, che spesso giunge a negare la dignità sociale della maggior parte della popolazione e conduce alla instaurazione di vere e proprie forme di “apartheid di fatto” nei confronti di tutti coloro che non appartengono alla élite bianca, con un corollario di guerriglie e repressioni armate indiscriminate, si è cercato di introdurre nelle Costituzioni elementi di riequilibrio, in primo luogo i diritti economico-sociali, accompagnati dal principio di non discriminazione e di eguaglianza sostanziale. Si è dato così luogo, a partire da quella brasiliana del 1988 e quella colombiana del 1991, a Costituzioni assai lunghe e dettagliate, con centinaia e centinaia di articoli, piene di princìpi astratti, che costituiscono altrettante promesse scritte sulla carta, in attesa di essere concretizzate con politiche pubbliche adeguate. Costituzioni che sono anche definite “aspirazionali”, perché diventano documenti che registrano, appunto, le “aspirazioni” di una parte importante della società e che a noi italiani richiamano immediatamente la «rivoluzione promessa, in cambio di una rivoluzione mancata», per usare le parole con cui, agli inizi degli anni 50 del Novecento, Piero Calamandrei definì la Costituzione italiana, allora ancora completamente inattuata.
Questa tendenza è stata ulteriormente enfatizzata nei decenni più recenti, quando Paesi come il Venezuela (1999), l’Ecuador (2008), la Bolivia (2009) si sono dotati di Costituzioni ancora più innovative, finalizzate alla inclusione di princìpi e valori dei popoli indigeni, spesso legati alla protezione dell’ambiente. Così, sono stati scritti nelle Costituzioni i diritti della natura, della madre Terra, delle generazioni future: su questa base si è iniziato a parlare di un “neocostituzionalismo” latinoamericano, caratterizzato appunto da nuovi diritti e da una accentuazione del carattere pluralista. In questo senso intende andare anche la nuova Costituzione cilena, approvata dalla Convenzione costituzionale che ha concluso i suoi lavori il 4 luglio di quest’anno e che il 4 settembre sarà sottoposta all’approvazione popolare, tutt’altro che scontata alla luce dell’acceso dibattito nelle correnti politiche e nella società cilena. Nella stessa direzione sembra procedere il dibattito costituzionale in Perù, un Paese attraversato da profonde fratture e da una lunga tradizione di esclusione della popolazione non bianca basata su forme di servitù della gleba, che soltanto con l’elezione alla presidenza di Pedro Castillo sta muovendo i primi passi verso un processo costituente finalmente partecipato e inclusivo.
Parallelamente a questa enfasi posta sulle dichiarazione dei diritti, si sono messi in moto altri processi “virtuosi”, che hanno portato la maggior parte dei Paesi della regione ad assicurare libere elezioni, anche attraverso il ricorso a sofisticate forme di garanzia tramite commissioni elettorali indipendenti, e a garantire una certa indipendenza alla magistratura: su queste basi, l’America Latina costituisce oggi, se si considerano i principali indici utilizzati per misurare il livello di democrazia, un’area in cui la maggior parte dei Paesi sono considerati “democrazie liberali”. Tuttavia, questi importanti cambiamenti non sono stati capaci di modificare in profondità i rapporti di potere e aggredire effettivamente le diseguaglianze e le gerarchie sociali. Molto spesso, la forma presidenziale di governo, che costituisce una conseguenza dell’influenza del costituzionalismo statunitense nell’Ottocento e continua a caratterizzare tutti i Paesi della regione, ha generato personalismi esasperati, tendenze populistiche o anche autoritarie (come nel Brasile di Bolsonaro), fornendo un assetto istituzionale inadeguato allo sviluppo di una vera e propria dialettica pluralista. Inoltre, la debolezza degli apparati amministrativi di Stati qualificati dagli studiosi come “deboli” ha reso assai difficile, anche laddove ci sia una volontà po-litica, il perseguimento delle riforme necessarie per dare effettività ai principi costituzionali.
Di fronte alle «promesse non mantenute », volendo utilizzare la celebre espressione di Norberto Bobbio, si sono però messi in moto alcuni significativi meccanismi, che hanno contribuito e stanno contribuendo a far definire il “neocostituzionalismo” latinoamericano come “costituzionalismo trasformatore”. Da un lato, i movimenti sociali, spesso guidati da donne, giovani e esponenti delle minoranze, hanno preso spunto dalle proclamazioni costituzionali per portare avanti lotte e rivendicazioni, sia con iniziative puntuali sui territori (pensiamo alle innumerevoli azioni di attivisti indigeni contro lo sfruttamento delle risorse minerarie e a difesa della natura), sia con imponenti manifestazioni di massa che, come è accaduto in Cile con l’estallido social del 2019 e in Colombia con il paro nacional del 2021, hanno poi generato un cambiamento politico. Dall’altro lato, in molti casi le norme costituzionali hanno trovato effettiva applicazione grazie alle sentenze della magistratura e delle Corti costituzionali, che, anche con l’incoraggiamento di una istituzione che gode di grande prestigio e autorevolezza in tutto il mondo, ovvero la Corte interamericana dei diritti dell’uomo, hanno supplito, almeno fin ove possibile, con il loro attivismo alle inadempienze dei poteri politici.
La saldatura tra giurisdizioni nazionali e Corte interamericana, grazie ai ricorsi spesso presentati da attivisti e organizzazioni della società civile, ha messo in moto un processo di “trasformazione attraverso il diritto”, che rappresenta in questo momento storico il grande apporto dell’America latina, in un mondo in cui la democrazia e il costituzionalismo sono sottoposti alle minacce delle nuove destre illiberali e alla competizione dei nuovi autoritarismi di ogni colore, Cina in primis. In definitiva, il messaggio che ci arriva oggi, dalla Colombia e in generale dal continente latinoamericano, è un forte richiamo a non dimenticare le potenzialità insite nelle nostre Costituzioni e a continuare a lavorare e lottare, anche qui, perché quelle promesse, spesso ammantate di profezia e di sogno, continuino a plasmare (anzi, lo facciano con sempre maggiore incisività) la realtà in cui viviamo.