Cina e Occidente: doveri comuni. Non è tempo di sordità
«Un dialogo tra sordi». Così l’Alto rappresentante per la politica estera dell’Unione Europea, Borrell, ha definito l’incontro tra i vertici della Ue e quelli della Cina. Gli europei hanno chiesto a Pechino di prendere chiaramente posizione contro l’aggressione russa all’Ucraina e la Cina non l’ha fatto, deludendo quanti speravano in un intervento. Ma questa guerra pone oggi un problema enorme: il vecchio ordine mondiale, fondato dopo la Seconda guerra mondiale, non regge più. Parlando alle Nazioni Unite, il leader ucraino Zelensky è stato sferzante: «Se continuate così potete anche chiudere», e ha invocato un tribunale tipo Norimberga contro la Russia. Papa Francesco è stato altrettanto chiaro: ha detto infatti che l’«Onu è impotente», ma lo ha fatto per rilanciare un grande progetto di pace. La guerra in Ucraina potrebbe essere solo la prima di una lunga serie in un mondo regolato solo dalla legge del più forte.
Urge perciò un nuovo ordine mondiale condiviso, per costruire il quale la Cina è un interlocutore imprescindibile (senza dimenticare l’India e molti altri) al pari dell’Occidente che però sta diventando solo una voce – seppure molto importante – di un mondo 'fuori controllo'. Vale perciò la pena di analizzare meglio il comportamento cinese. Da un lato Pechino non ha condannato la Russia, dando la colpa della guerra (mai definita tale) agli occidentali. Dall’altro, Xi Jinping ha detto che «non avrebbe voluto vedere» quello che sta succedendo in Ucraina; finora la Cina non ha dato armi a Putin e sembra che non abbia sottoscritto con la Russia un grande contratto per l’acquisto di petrolio, riducendo contemporaneamente l’importazione di carbone; ha inoltre mantenuto buoni rapporti con l’Ucraina, cui ha inviato aiuti umanitari, di recente c’è stato anche un colloquio tra i rispettivi ministri degli Esteri, cui potrebbe seguirne un altro tra Zelensky e Xi Jinping. Infine, il rappresentante cinese all’Onu ha definito «sconvolgenti» le immagini di Bucha. È poco? Certo, anzi pochissimo davanti alla tragedia in corso. Ma non è neanche niente, specie se si pensa che il punto di partenza era quello di un’amicizia senza limiti tra Russia e Cina affermato ufficialmente il 4 febbraio scorso da Putin e Xi Jinping.
I pochi risultati ottenuti finora nel «dialogo tra sordi» mostra un’incertezza di fondo della politica cinese che finora Pechino ha evitato di affrontare puntando sulla scelta più facile: perseguire piccoli interessi immediati. Questa incertezza viene da lontano: in un certo senso la Cina non ha mai avuto una vera politica estera, ma solo buoni rapporti con Paesi tributari, rapporti conflittuali con Paesi pericolosi e nonrapporti con tutti gli altri. Anche la storia del Novecento non ha cambiato del tutto questo schema. Ma oggi la Cina ha il problema di convivere con soggetti che non può né sottomettere né sconfiggere: la sua stessa crescita la obbliga a trattare con 'tutti gli altri'.
Deve perciò inventarsi in fretta una vera politica estera a 360 gradi ed è suo interesse contribuire a stabilizzare un mondo in cui sia garantita quella globalizzazione economica che ha fatto la sua fortuna. Lo riconosce indirettamente anche Xi Jinping quando dice alla Ue che occorre «promuovere colloqui di pace, prevenire una crisi umanitaria più ampia, costruire una pace duratura in Europa ed Eurasia, evitare il diffondersi dei conflitti regionali». Costringere i leader cinesi a passare dalle parole ai fatti implica, però, anche un cambiamento dell’atteggiamento occidentale. Alle delusioni si può reagire in due modi opposti: lasciar perdere del tutto o rilanciare alla grande. E oggi lasciar per- dere potrebbe significare decenni di devastazioni planetarie.
Tra i prezzi necessari per la pace c’è anche il dialogo con la Cina e della Cina. Negli ultimi anni, gli Usa hanno impostato il rapporto con quest’ultima in termini di 'nuova guerra fredda' – seguiti, in parte, da europei riluttanti – non certo la premessa migliore per chiedere a Pechino collaborazione sulla questione ucraina. Inoltre, di fronte alle risposte avare da parte cinese, i think tank americani sono tornati subito a ipotizzare che il grande scontro futuro sarà non con la Russia ma, appunto, con la Cina. Difficilmente, però, una nuova guerra fredda tra Ovest (Stati Uniti ed Europa) ed Est (Cina, Russia forse anche India), con tutti gli altri alla finestra, propendendo in gran parte per i secondi, sarebbe vinta dall’Occidente.
La guerra in Ucraina impone di invertire la rotta. Occorre far capire ai cinesi che la richiesta di intervenire non è strumentale ma si inserisce nel più ampio progetto di un nuovo ordine mondiale basato su patti chiari e regole condivise. Di cui la Cina non può non essere un socio fondatore. Il precedente più famoso è quello di Nixon e Kissinger: quando – in piena vecchia guerra fredda – cercarono il dialogo con Pechino, Mao e Zhou Enlai aprirono la porta.
Ce n’è però anche un altro, meno famoso eppure anch’esso significativo: quando papa Francesco, accelerando sulla strada tracciata dai suoi predecessori, ha aperto al dialogo, e la Cina non si è tirata indietro. In entrambi i casi, però, è stato necessario mostrare una volontà determinata e costante, capace di superare incomprensioni e delusioni.