Tokyo 2020. Non soltanto medaglie, Paralimpiadi di rinascita
È partita la carica dei 115 atleti italiani alle Paralimpiadi di Tokyo 2021. Si tratta di 115 storie di rinascita attraverso lo sport agonistico, tutte da leggere e incorniciare, da ora fino al 5 settembre, giorno di chiusura dei Giochi. Si riparte dai 39 podi di Rio 2016, ma anche dalle lodevoli 40 medaglie (record) conquistate dall’Italia alle Olimpiadi appena concluse, che rappresentano un obiettivo raggiungibile, visto che al primo giorno l’Italia ne porta a casa già 5 (due ori nel nuoto).
La forza delle Nazionali paralimpiche, con ben 69 debuttanti, risiede in ogni disciplina in cui figurano campioni e personaggi planetari dello stesso calibro di quelli olimpici. Per carisma mediatico e talento, la Federica Pellegrini dell’universo paralimpico è sicuramente la 24enne Bebe Vio. Non nuota ma vola e stocca sulla pedana la regina del fioretto, che la sua carriera l’ha iniziata molto prima di gareggiare. A 12 anni Bebe era ai Giochi di Londra dove si impose come commentatrice di un mondo che da sempre governa con grinta e sensibilità impareggiabile. Debutto a Rio con oro nell’individuale e poi da trascinatrice della squadra che vinse il bronzo. Dopodomani a Tokyo, Bebe ci riprova per un bis che le regalerebbe Il più grande spettacolo dopo il Big Bang come canta assieme al suo amico Jovanotti.
Così come tenterà il tris la “donna mascherata”, Assunta Legnante. “Assuntina” per tutti, viene dallo sport normodotato, è stata un pallavolista prima di diventare la wonder woman del getto del peso: oro a Londra e poi a Rio. La serie può continuare in Giappone, ma per lei, come per le altre 62 atlete italiane, non è solo una questione legata ai metalli preziosi di Olimpia da appendersi al collo. «Il primo obiettivo sono le medaglie, ma a lunga gittata vogliamo cambiare la società», ha detto alla vigilia il “campionissimo” della spedizione, il presidente del Cip (Comitato italiano paralimpico) Luca Pancalli, che a Tokyo taglia il traguardo delle 14 Paralimpiadi: 4 da atleta e 10 da dirigente. Non si nasconde Pancalli, la medaglia, salire i gradini del podio sulle note di Mameli, le interviste televisive e le prime pagine dei giornali aiutano questo movimento a essere più visibile, almeno ogni quattro anni (causa Covid ne sono trascorsi cinque) e a cambiare la percezione dell’atleta paralimpico e, quindi, della persona in seno alla nostra società, che non è ancora impeccabile quanto ad attenzione verso le disabilità.
L’uomo che ha inventato le Paralimpiadi, il medico Ludwig Guttmann, aveva ben chiaro il progetto sportivo come mezzo fondamentale di inclusione sociale dei disabili quando disse: «Voglio trasformare mielolesi privi di speranza in contribuenti del Fisco ». Pagano le tasse e lavorano grazie ai Gruppi Sportivi Militari questi ragazzi, alla stregua degli azzurri olimpici. E in ognuno di loro convivono le stesse motivazioni, la stessa voglia di riscatto e gli identici tentativi di cancellare traumi, sconfitte e cicatrici inferte dalla vita. Lo sa bene la più giovane delle centometriste, la 19enne Ambra Sabatini, primatista del mondo della categoria T63 (dove T sta per le gare su pista mentre il numero 63 indica l’amputazione monolaterale transfemorale con protesi).
Così come conosce bene le regole di questi Giochi Martina Caironi, a Tokyo per prendersi ancora una volta l’oro nello sprint. Aver assistito, dalla tv, all’impresa dell’uomo-jet Marcell Jacobs, a Martina ha dato la stessa scossa che lei trasmise a Monica Contraffatto quando la vide trionfare alle Paralimpiadi di Londra 2012.
Quattro anni dopo a Rio, Monica, la prima donna soldato decorata dell’Esercito (gamba amputata per un colpo di mortaio in Afghanistan) andò a vincere il bronzo ricordando che quella medaglia l’aveva sognata il giorno che, dal letto d’ospedale, vide alla tv l’impresa della Caironi. Purtroppo mentre Monica si allena e vive nel villaggio olimpico di Tokyo, l’Afghanistan è diventata una terra di anime in fuga. Come l’atleta paralimpica Zakia Khodadadi, che avrebbe voluto giocarsela nel taekwondo, ma i taleban gliel’hanno impedito. Zakia ora è in Australia. Può solo guardare i Giochi alla tv, ma la speranza, sua e di tanti nostri atleti rimasti a casa, corre già verso Parigi: per una volta, mancano solo tre anni.