Basta indifferenza. Non si scherza col fuoco. Antisemitismo e odio, i doveri dei leader
Si susseguono notizie su fatti di violenza e odio in tanti Paesi. Rischiamo l’abitudine e l’indifferenza. Così, l’attacco antisemita a Monsey, nei pressi di New York, può passare nel dimenticatoio, dopo un po’ di deprecazione. Ci si abitua, purtroppo, anche all’antisemitismo, come alle proteste contro di esso. Avviene in società indifferenti: in Nord America o in Europa. Indifferenze diverse, ma sempre tali.
La sequenza degli atti antisemiti negli Stati Uniti è impressionante: «È il tredicesimo attacco antisemita dall’8 dicembre a oggi a New York», ha detto Cuomo, il governatore dello Stato. Qualche mese fa, in Germania, il responsabile per la lotta all’antisemitismo consigliò agli ebrei di non indossare sempre la kippah. Fu poi smentito, ma quel discorso manifesta il clima, confermato dall’aumento degli atti antisemiti in Germania (come in Francia). Non ci si può fermare alla rituale deprecazione, ma bisogna andare a fondo per capire l’inaccettabile processo di "odio all’ebreo", se vogliamo fermarlo e batterlo. Innanzi tutto, c’è da garantire la libertà alle persone e la sicurezza dei siti ebraici. Ma non basta.
Gli atti antisemiti provengono da vari mondi: neonazisti o neofascisti, islamici, antisraeliani, suprematisti, settori nazionalisti, gruppi settari di ogni tipo, come gli pseudoebrei neri da cui è partito l’attacco a Monsey. Non c’è un’unica filiazione. A settant’anni della Shoah, lo stereotipo antisemita è vivo e circolante su un terreno profondo che sottostà alle più diverse genealogie politiche. È lì, pronto per essere usato da chi cerca un nemico ancestrale, cui attribuire i mali di cui si sente colpito o di cui crede colpita la società. Pesca nelle profondità oscure della storia che, irrazionalmente, paiono legittimarlo. Queste squallide operazioni sono favorite dall’incandescente temperatura di odio, innalzatasi negli ultimi anni. Il mix, tollerato e accarezzato da troppi, provoca in alcuni atti violenti o addirittura azioni terroristiche.
C’è da fare i conti con il clima di odio delle nostre società. Qui la responsabilità del linguaggio delle figure pubbliche che tanto influiscono su società ormai largamente deprivate di corpi intermedi. Come si spiegherebbe altrimenti che, con il nuovo ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, e il discorso più sereno del nuovo Governo sull’immigrazione, gli italiani ne sono meno preoccupati? Pagnoncelli osserva che l’immigrazione è calata al 22% nella graduatoria delle preoccupazioni degli italiani, meno 14% rispetto al 2018. Il registro dell’allarmismo, dell’odio, dello scontro, se informa il linguaggio dei personaggi pubblici, ha conseguenze sulla gente persino oltre le intenzioni degli attori politici.
Non si scherza con il fuoco delle parole. Il linguaggio dell’odio che induce a tante imprevedibili pratiche di esso. Così i cittadini, quando votano, forse non dovrebbero solo guardare alle promesse, ma anche al linguaggio dei politici.
Il clima d’odio fa ribollire e emergere un antisemitismo endemico in Occidente. Impressiona perché qui - a differenza di altri mondi, come l’islamico - si sono coltivati da tempo il ripudio dell’antisemitismo e la memoria della Shoah. Siamo dunque impotenti? No, certamente, ma siamo un mondo in crisi, ripiegato su di sé. Penso al clima che si respira nel nostro Paese. Eppure una delle grandi risorse è la libertà con il pluralismo delle nostre culture e religioni. Questo fa ricca l’Europa e l’Italia. Dobbiamo andare a fondo e mostrare, specie ai giovani e fin dalla scuola, come l’ebraismo sia la nostra storia europea.
Non accontentiamoci delle dichiarazioni, ma lavoriamo sulla formazione, la cultura e l’amicizia.
Quest’ultima fu chiave, durante la guerra e il dopoguerra, per creare nuovi rapporti tra ebrei e cattolici. Nel 1950 Giorgio La Pira introdusse in Italia l’Amicizia ebraico-cristiana. Oggi la Chiesa cattolica in Italia è chiamata a non accontentarsi di aver chiarito il passato con gli ebrei, ma deve fare un passo avanti sulla via di questa amicizia, che diventa emblematica per l’intera società. Si aprono gli anni Venti del XXI secolo, mentre purtroppo la loro aurora è segnata da fatti antisemiti. Noi li vogliamo davvero diversi, da quello che furono gli anni Venti del Novecento. Vorremmo che l’antisemitismo fosse definitivamente seppellito nel cimitero degli orrori del passato. Ma questo richiede un grande lavoro sistematico e profondo. Questo manifesterà che il XXI secolo è veramente nuovo e non una continuazione del passato.