No alla guerra all’informazione. L'attacco in corso e i giusti richiami di Mattarella
C’è un nodo cruciale nella democrazia del Terzo millennio e si chiama comunicazione. A fine luglio Sergio Mattarella ricevendo i giornalisti li aveva invitati, al pari dei politici, a «governare il linguaggio», evitando la comoda scorciatoia di 'incolpare l’untore'. La fake news ante litteram: «Il buon senso c’era ma se ne stava nascosto per paura del senso comune», scriveva Manzoni nei 'Promessi sposi'. L’insistenza con cui Mattarella difende la libertà di stampa «elemento portante e fondamentale della democrazia», a fronte di «insidie volte a fiaccarne la piena autonomia», è la spia di una preoccupazione che tocca anche il livello più alto delle istituzioni. Preoccupazione per il rischio che la sconfinata capacità della Rete nel veicolare contenuti vada a discapito della verità e del rispetto dovuto alle persone, specie le più fragili. «Il web è spazio di libertà e, per definizione, non merita censure», ha detto il capo dello Stato all’Isola d’Elba per l’inizio d’anno scolastico.
Ma anche per lui casi drammatici come la morte assurda di Igor Maj (il ragazzo indotto a togliersi la vita da una terrificante pratica diffusa online) impongono una riflessione ineludibile. La Rete non può trasformarsi «in un mondo parallelo e incontrollato in cui succede impunemente di tutto». Il tema della fragilità di tanti nel web interroga la scuola e la famiglia. Ma, sempre più, anche le istituzioni pubbliche. Quattordici capi di Stato europei ne hanno discusso la scorsa settimana a Riga, all’incontro annuale del cosiddetto 'gruppo di Arraiolos'. Il tema era la cyber security:
«Sappiamo che le conseguenze di attacchi informatici possono essere disastrose, sui sistemi informatici pubblici, sulle banche, sui sistemi elettorali, sui sistemi sociali e sanitari», ha detto Mattarella. Denunciando la possibilità, evocata anche da altri capi di Stato, che l’attacco possa venire non solo da «grandi gruppi criminali», ma «anche Stati con atteggiamento ostile». Vale la pena di ricordare una torbida vicenda che il Quirinale ha potuto monitorare direttamente: gli oltre 300 profili falsi spuntati come funghi la notte del 27 maggio, a sostenere l’hashtag #Mattarelladimettiti e la proposta di impeachment.
C’era anche chi aveva ipotizzato che l’attacco potesse essere venuto dall’estero, i successivi approfondimenti avrebbero però portato a escluderlo. Ma il caso della centrale russa di San Pietroburgo che sarebbe intervenuta pesantemente nelle elezioni americane impone di tenere alta la guardia. Il tema non riguarda una sola istituzione (fosse pure la più importate) o un solo Stato. Il tema è più inquietante: la fragilità nel web espone a rischi la libera discussione democratica di un intero Paese e – in vista delle prossime Europee – di un intero Continente. Scenari da fantascienza che possono diventare realtà col sistema del contagio 'virale' via Internet, attraverso false informazioni pilotate.
Ma per difendersi dalle false notizie non c’è altra strada che incrementare quelle vere, proteggendo il ruolo della libera stampa. Che più è scomoda, più è libera. Si è a lungo parlato del record di tre mesi senza governo, dopo il voto del 4 marzo. Ma c’è stato un record nel record: tre mesi vissuti senza domande nelle conferenze stampa al Quirinale dei consultati dal Presidente: solo dichiarazioni e reti unificate o dirette Facebook. «C’è un’insofferenza crescente verso il potere di controllo dell’informazione e l’insostituibile ruolo di mediazione della stampa», denuncia Carlo Verna, presidente dell’Ordine dei giornalisti.
Un Ordine da riformare «fin dal nome, che si potrebbe chiamare 'ordine del giornalismo' – propone –, per sottolineare di più la sua funzione sociale». Che è poi la funzione di «tutelare la personalità altrui» con l’«obbligo inderogabile» del «rispetto della verità sostanziale dei fatti, osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede», citando l’articolo 2 della legge istitutiva dell’Ordine, scritta 65 anni fa da Aldo Moro e Guido Gonella. Un testo saggio e, quindi, da maneggiare con cura in caso di riforma.