Editoriale. Non rinunciamo a respirare bene
Nel cortile di una scuola a qualche centinaio di metri dalla redazione di “Avvenire”, a due passi dalla Stazione centrale, è attiva da cinquant’anni una delle postazioni di rilevamento della qualità dell’aria a Milano. L’aria che l’ha attraversata nell’ultimo anno è stata “buona”, secondo i parametri europei, solo nell’1% dei giorni e “sufficiente” nel 44%. Per più della metà dell’anno, invece, la qualità dell’aria non era “sufficiente”, ma molto spesso “mediocre” (17%) o “scarsa” (30%), quando non “molto scarsa” (6%) o “estremamente scarsa” (2%). Nei giorni in cui la qualità dell’aria scende sotto la mediocrità l’app dell’Agenzia europea per l’ambiente inizia a suggerire ai cittadini di considerare di ridurre l’attività fisica intensa all’aperto. Quando l’indicatore ambientale è vicino alla sufficienza questa raccomandazione vale soprattutto per la “popolazione sensibile”, come i bambini e gli anziani, ma si fa via via più perentoria con il peggiorare dei dati che arrivano dalla centralina.
Evidentemente nemmeno la città più ricca, internazionale e cool d’Italia può permettersi di offrire ai polmoni dei propri cittadini un’aria buona e salubre, tranquillizzante per i genitori che vogliono accompagnare i bambini al parco giochi più spesso che nell’ambulatorio del pediatra e incoraggiante per chi vuole andare a correre per tenersi in forma.
Certo, la situazione di Milano non è molto diversa da quella degli altri centri padani tra Lombardia, Emilia, Veneto e Piemonte. La conformazione della Pianura Padana è quella e non possiamo cambiarla: una conca, dove l’aria ristagna e quando si riempie di microparticelle inquinanti fatica a liberarsene. Quello che possiamo fare è ridurre le emissioni di particolato, biossidi di azoto, ozono, anidride solforosa e altre sostanze che inquinano l’aria. Su questo fronte i progressi sono oggettivi: le rilevazioni dell’Arpa, l’agenzia regionale lombarda per l’ambiente, ci ricordano che un tempo l’aria era anche peggiore, come d’altra parte era peggiore in tutt’Europa. Ad esempio, la concentrazione di particelle Pm10 in atmosfera è crollata del 45% nell’ultimo decennio.
Quel crollo è certo una buona notizia. Ma è una buona notizia scivolosa: può indurci a pensare di avere già fatto tutto il possibile, o quasi. Nell’aria inquinata di questi giorni aleggia infatti tra la popolazione uno spirito poco “padano”, pregno com’è di rassegnazione e fatalismo. L’idea diffusa è che la situazione è questa e non possiamo farci niente: abbiamo tante imprese, tanti allevamenti, ci servono le macchine per spostarci, i grandi autocarri per mandare nel mondo le nostre merci e dal momento che siamo chiusi da Alpi e Appennini dobbiamo rassegnarci a respirare quest’aria cattiva, insalubre per più di un giorno su due. Altro che “Ghe pensi mi”.
Invece qualcosa si potrebbe fare, adottando proprio l’approccio imprenditoriale e pragmatico tipico di queste terre: si studia il problema, si elaborano soluzioni, si investe per raggiungere l’obiettivo. Occorre prima di tutto riconoscere che la Pianura Padana se vuole aria pulita ha bisogno di limiti sulle emissioni più stringenti rispetto alle altre aree d’Italia o d’Europa. Le strategie possibili sono note: meno traffico di automobili e camion con un maggiore utilizzo di trasporto pubblico e ferroviario; riduzione degli allevamenti intensivi e delle colture agricole più problematiche; passaggio da sistemi di riscaldamento a gas ad alternative come le pompe di calore; drastica riduzione della combustione di biomasse legnose, usate anche nelle centrali termoelettriche e principali responsabili dello smog. Strategie che naturalmente non possono essere messe in campo unicamente dalla singola impresa, da una sola amministrazione locale, da un’organizzazione civica: è una classica sfida di sistema.
Quanto costerebbe percorrere davvero questa strada? Qual è il prezzo da pagare per avere un’aria “sufficiente” almeno per il 70-80% dei giorni dell’anno? È davvero un prezzo inaccessibile anche per l’area più ricca d’Italia e tra le più ricche d’Europa? Non abbiamo la risposta a nessuna di queste domande, e nessuno pare intenzionato a trovarla davvero. Il grosso dell’impegno, al momento, è nella ricerca di soluzioni tampone – e non di sistema – contro l’emergenza e di deroghe rispetto alle regole europee. Come se fosse un vantaggio potersi tenere un’aria più inquinata di quella degli altri.
L’aria la respiriamo tutti, ma non è di nessuno. Ѐ un bene comune. Forse per questo è così difficile trovare il consenso sulla necessità di investire sul serio per il miglioramento a lungo termine di un asset apparentemente così poco redditizio. Più o meno consapevolmente rassegnata a riempirsi i polmoni di aria cattiva un giorno sì e uno no, la popolazione della Pianura Padana pare incapace di emanciparsi dallo stato di povertà ambientale permanente in cui si è cacciata.