Cop26: traguardo indispensabile. Non ci si può rassegnare
L’espressione più efficace l’ha coniata Antonio Guterres: «Lascio Roma con le mie speranze insoddisfatte, ma non ancora ridotte in cenere». Perché se la distanza fisica tra la capitale italiana e Glasgow è di appena due ore d’aereo, quella politica tra il G20 e la Cop26 è ben più ampia. Il summit delle venti principali economie del Pianeta è, appunto, una riunione fra Grandi.
L’obiettivo di ciascuno è misurare le forze dell’altro, attento a centellinare le aperture per non dare all’avversario il minimo vantaggio. Con Usa e Cina ai ferri corri, questo potrebbe spiegare la 'cautela' relativa al clima nella bozza conclusiva.
Nel testo, c’è il magic number di 1,5 gradi, ovvero la determinazione a mantenere la temperatura globale entro la soglia di equilibrio individuata dagli scienziati. Più vistosi, però, sono gli impegni mancanti: dallo stop al carbone fino al termine del 2050 per azzerare le emissioni nette.
Comprensibile, dunque, la delusione degli attivisti e degli esperti, anche perché i venti Grandi producono l’80% dei gas serra e senza la loro collaborazione, dunque, la transizione ecologica è destinata a restare un’utopia. Qualcuno, fuori dai cancelli dello Scottish Event Campus, ironizzava sulla caduta dell’enorme manifesto di benvenuto 'Together for our Planet', 'Insieme per il Pianeta', a poche ore dall’inaugurazione.
Il negoziato si prospetta oggettivamente difficile. E le premesse non sono delle migliori. È, tuttavia, ancora presto per gettare la spugna. Alla 26esima Conferenza delle parti della Convenzione quadro Onu sul cambiamento climatico partecipano 196 Paesi più l’Unione Europea.
I Piccoli – in senso geopolitico – in questo con- testo non sono marginali. Lo hanno dimostrato alla Cop21 di Parigi: senza di loro, l’omonimo accordo – spartiacque nella diplomazia ambientale – non sarebbe mai stato raggiunto. Africa, America Latina, Sud-Est asiatico e isole del Pacifico hanno dei margini di manovra. E sono determinati a utilizzarli, dato che il maggior peso dell’aumento delle temperature grava sulle loro fragili spalle. «Esistiamo ora. Vogliamo esistere anche fra 100 anni», ha tuonato un’appassionata Mia Amor Mottley, premier delle Barbados, nell’appello rivolto ai colleghi in apertura dei lavori. Stavolta, inoltre, possono contare su un alleato di cui non disponevano sei anni fa: l’opinione pubblica mondiale, giovani in primis. A lungo prigioniero nella torre d’avorio dell’accademia e di pochi ben informati, il clima è entrato di forza nel dibattito pubblico. Merito indubbiamente degli scioperi climatici degli adolescenti. Ma anche della Laudato si’ di papa Francesco, pubblicata alla vigilia della Cop21 e fondamentale nel legare indissolubilmente crisi sociale e crisi ambientale. Il concetto di «ecologia integrale» – che racchiude il grido della terra e quello dei poveri – è stato determinante nel superare le varie ideologie 'verdi' e far nascere, dentro e fuori la Chiesa, un ampio movimento di cura della casa comune.
La frase «i nostri figli non ci perdoneranno se falliamo» di Boris Johnson, al di là della provocazione, raccoglie un fondo di verità. L’aggettivo 'nostri' non è secondario. I ragazzi del Nord del mondo sono agguerriti tanto quanto i coetanei dell’emisfero Sud. E stanno trascinando molti adulti. Un’opinione pubblica a cui i leader riuniti a Glasgow devono rendere conto. Le precedenti considerazioni non fanno la sfida meno ardua. Aumentano, però, le possibilità di un risultato quantomeno accettabile. Magari le probabilità non sono sei su dieci, come ha affermato il premier britannico. I giochi però sono aperti. La sfida è quantomai ambiziosa. Si tratta, come sottolineava la settimana scorsa The Economist, di creare una nuova economia mondiale, in cui la produzione sia svincolata dall’energia fossile. E ciò richiede una nuova politica internazionale, capace di tessere alleanze per la sopravvivenza comune. Lo scenario scelto è di buon auspicio. A Glasgow, James Watt inventò la macchina a vapore, inaugurando la rivoluzione energetica e il nostro attuale modello di produzione. Nella città scozzese, la Cop potrebbe ora aprire la strada a una nuova rivoluzione che renda il sistema compatibile con l’esistenza dell’umanità, presente e futura.