Opinioni

La lezione di Ernesto Ruffini. Non può meritare fiducia chi non vuole giustizia fiscale

Franco Monaco giovedì 23 settembre 2021

Caro direttore,

ho trovato limpida e persuasiva la vera e propria lezione di etica fiscale impartita da Ernesto Ruffini, direttore dell’Agenzia delle entrate, sulle pagine di 'Avvenire'. Come ben sai, sono sensibile all’argomento almeno quanto le firme che si alternano da anni su queste pagine per tenere accesa la questione. Qualche settimana fa, sempre sul tuo giornale, proposi un contributo straordinario di solidarietà temporaneo (un paio d’anni) a carico dei contribuenti che se lo possono permettere, ma possibilmente su una platea vasta, per fronteggiare l’acuta crisi sociale generata dalla pandemia e certificata da tutte le indagini sulla impennata della povertà relativa e assoluta.

Ma il tema fiscale è tabù, specie per la politica, decisamente refrattaria a sfidare l’impopolarità, eppure – come ha argomentato Ruffini – trattasi di tema cruciale, nel quale convergono molte e fondamentali questioni. Solo per titoli: una solidarietà concreta e organizzata, non a chiacchiere, non occasionale, non meramente volontaristica; una solidarietà 'intelligente' e moderna che passa soprattutto attraverso le istituzioni del cosiddetto welfare state e i beni comuni da esse erogati (sicurezza, salute, assistenza, istruzione, trasporti...); una visione dello Stato inteso come casa comune cui ciascuno dà il proprio apporto; una saldatura tra etica civile ed etica cristiana, coerente con l’intera tradizione del magistero sociale della Chiesa che prescrive al cristiano di proporsi quale cittadino esemplare.

Giustamente, Ruffini ha rammentato che Gesù ordinò di dare a Cesare ciò che gli spettava quando esso era a capo di una potenza occupante. Non un’autorità democraticamente espressa da cittadini-elettori.

Permetti, caro direttore, che, a queste motivazioni, ne aggiunga un’altra che pure mi è occorso di accennare su 'Avvenire' e che mi ha procurato molte reazioni di consenso, alcune davvero inattese. A testimonianza di un nervo scoperto: quando, da uomo politicamente di sinistra, confessai il mio disagio per lo strabismo che si riscontra in quel campo – la sinistra – che pure è il mio. Tanto concentrato sui diritti civili di matrice individualistica a discapito dei diritti sociali e del lavoro che, teoricamente e storicamente, dovrebbero marcarne l’identità. Mi ha fatto piacere che, di recente, più volte, l’amico Romano Prodi abbia suggerito a Enrico Letta e al Pd una correzione di rotta in tale direzione. Sono convinto che le sirene del populismo si possono battere anche così: mostrando una concreta sollecitudine per la domanda di uguaglianza e di elevazione sociale dei ceti popolari che spesso, non a torto, avvertono la distanza lunare di una sinistra elitaria e subalterna a una cultura che, a ben vedere, non dovrebbe essere la sua.

Può una sinistra degna di questo nome mostrarsi sorda alla funzione ridistribuiva della leva fiscale? Ruffini rammenta il celebre motto dei coloni americani in polemica con la Corona inglese 'no taxation without representation'. Parafrasandolo a modo nostro, potremmo dire 'non merita di essere eletto rappresentante chi non si occupa della questione della giustizia fiscale'.