Errori da vedere e contrapposizioni da evitare. Non è nel Ddl Zan la via contro l'odio
Brutali realtà dalle molte facce e tuttora attualissime, l’omofobia, la transfobia e le altre intolleranze similari, con le discriminazioni e le violenze che ne conseguono. A loro carico le aggressioni verbali e fisiche da parte di singoli e di gruppi, non di rado imbevuti di lugubri ideologie. Ma anche più sotterranee, non meno drammatiche tensioni familiari. In queste settimane, si sono ripetuti episodi clamorosi dell’uno e dell’altro tipo. Comprensibilmente rinnovatosi un giustificato sdegno collettivo, si è altresì accentuata la pressione perché il Senato, senza indugio, vari definitivamente il progetto noto come ddl Zan, già approvato dalla Camera dei deputati, che tuttavia non guarda tanto alle violenze e alle discriminazioni in quanto tali, ma piuttosto amplia e indurisce la repressione di tutto ciò che può fomentare odio o discriminazione verso i 'diversi' sessualmente. Nulla da obiettare, in via di principio. Accade però qualcosa che lascia perplessi.
È infatti abituale, sui media, il cliché di una secca antitesi, presentata senza cenni ad altre alternative: la posizione della destra politica, e in particolare della Lega, contro, quella di tutti gli altri. In realtà, come sanno almeno i lettori di questo giornale, le cose non stanno esattamente così. C’è una terza 'linea', propugnata anzitutto da giuristi autorevoli di vario orientamento politico e condivisa anche da parti del mondo femminista e di quello stesso lgbt: tutt’altro che indulgente o indifferente verso discriminazioni e violenze e verso chi le incoraggi, ma preoccupata per parti, non marginali, della versione attuale del progetto.
In particolare, non si disconosce che all’art. 4 si facciano «salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte», ma non lascia tranquilli la successiva riserva, secondo cui, per andare esenti da pena, le relative esternazioni non devono essere « idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti».
Se si pensa specialmente ai contenuti e ai toni dei dibattiti di ieri e di oggi su taluni temi particolarmente 'caldi', non è immaginario il timore che il riferimento alla semplice 'idoneità' a motivare atti di violenza o di discriminazione possa aprire, nell’applicazione giurisprudenziale, a un’ampia dilatazione dell’area della repressione di pure e semplici opinioni: sino a colpire quelle di chi nutra dubbi sulle adozioni di coppie gay o sulla liceità morale della 'maternità surrogata', oppure, in famiglia, esprima una speranza di modifica dell’orientamento sessuale di un congiunto.
Non per nulla la Commissione affari costituzionali della Camera aveva suggerito una differente formulazione, che senza lasciare spazio ai fomentatori di odio o discriminazione limitasse la punizione alle sole condotte propriamente istigatrici o legate da un nesso effettivo con atti, «gravi, concreti ed attuali», che di odio o discriminazione fossero espressivi. Mancano, insomma, nel testo attuale dei netti sbarramenti perché la repressione penale non diventi arma di repressione 'di idee'. E un’approvazione senza ritocchi, e a tamburo battente, non garantirebbe contro l’ulteriore dilagare dell’odio e della discriminazione omofoba e transfobica: sono mali aventi radici ben profonde, ad estirpare le quali, per quel poco a cui possono contribuire le leggi repressive, servono probabilmente meglio interventi normativi che tengano conto di tutti i valori in causa e non esclusivamente di quello che pur è o appare preminente. Un rilievo, infine, circa le sensibilità manifestatesi all’interno di una determinata area dello schieramento politico.
Si sarà forse constatato, in relazione a tutta la vicenda, un certo torpore, salve individuali eccezioni, nelle reazioni di coloro i quali, in varie formazioni partitiche, rivendicano le loro radici nel grande filone del cattolicesimo democratico. Non è (più) così. Circola in questi giorni un appello, forte negli accenti ma soprattutto circostanziato nelle argomentazioni, sottoscritto da numerosi e qualificati esponenti di quell’orientamento, così come di altri che in vario modo si riconoscono nell’area del centrosinistra: si arriva a definire «pasticciata e ideologica » la legge in fieri. È un segnale importante.