Non è mai troppo tardi. Ritorno in scena dell’Europa in Libia
È tardi, ma forse non troppo tardi. Mesi e mesi di indecisione hanno contribuito a far degenerare la situazione in Libia. Le truppe del generale Khalifa Haftar, forti dell’aviazione dell’Egitto, dei mercenari della Russia, dei droni degli Emirati Arabi Uniti e dei quattrini dell’Arabia Saudita, hanno pian piano messo sotto controllo gran parte del Paese, chiudendo all’angolo l’unico Governo considerato legittimo dalle Nazioni Unite, quello guidato da Fayez al-Sarraj. Questi, a corto di forze e stanco delle troppe parole delle istituzioni internazionali, ha reagito chiamando in causa un interlocutore scomodo per tutti: la Turchia di Recep Teyyep Erdogan.
Sembrava, ormai, di dover assistere a una replica della tragedia siriana. Un Paese a pezzi dopo una guerra folle. Eserciti e milizie pronte a dividersi le spoglie. Due squali astuti come Vladimir Putin ed Erdogan pronti a giocare l’ennesima partita. Che in teoria li vedrebbe nemici (sia in Siria, dove l’uno sosteneva Assad e l’altro lo combatteva, sia in Libia, dove l’uno appoggia Haftar e l’altro Sarraj) ma nella pratica della Realpolitik li rivela da anni abituati a trovare un’intesa. È successo poche settimane fa dopo l’offensiva turca contro i curdi del Rojava, si ripete ora dopo che i due leader, che si sono incontrati a Istanbul per parlare di gasdotti e affari energetici (appunto), hanno diramato un invito alla tregua che già sa di spartizione della Libia.
Ancor più significativo, quindi, il colpo di reni dell’Europa che, dopo una serie di contatti tra Josep Borrell, l’Alto rappresentante Ue per le politiche di difesa e sicurezza, e i governi di Francia, Germania e Regno Unito, ha trovato l’accordo per affidare all’Italia una missione di mediazione che ieri ha portato a Roma, per incontrare il premier Conte, il generale Haftar e a Bruxelles il premier Sarraj. Una mossa che va accolta con soddisfazione. Perché la Libia ha bisogno dell’Europa, delle sue relazioni, dei suoi investimenti. Perché qualche Paese (la Francia, che peraltro sulla questione libica ha molto da farsi perdonare) per l’occasione ha saputo accantonare le proprie ambizioni in nome di un interesse collettivo e più ampio. Perché l’Europa almeno in questo caso mostra un minimo di consistenza anche in un campo delicato come la politica estera e in un quadrante cruciale – per la Ue e non solo – come il Mediterraneo.
Vietato farsi illusioni, naturalmente. I protagonisti sono quello che sono. Nel novembre scorso il generale Haftar accettò di partecipare alla Conferenza sulla Libia organizzata dal nostro governo a Palermo e sponsorizzata dall’Onu, e si fece persino fotografare mentre stringeva la mano ad al-Sarraj. Poi, appena tornato in patria, scatenò una vasta offensiva militare.
E nei giorni scorsi, alla vigilia di una missione Ue poi annullata, ha fatto altrettanto attaccando Sirte e compiendo una strage tra i cadetti di un collegio militare di Tripoli. Sarraj, pur di ottenere l’aiuto della Turchia (uomini ma anche droni, senza i quali è succube della superiorità aerea di Haftar), ha firmato con Erdogan un Memorandum d’intesa per lo sfruttamento dei giacimenti di gas e petrolio del Mediterraneo che ha fatto infuriare la Grecia ed è stato condannato senza esitazioni dalla Ue.
Ma tant’è. Se la mediazione italiana per conto dell’Europa farà strada, troverà un lavoro enorme da fare. Come si diceva, l’acuirsi della crisi ha attratto nella già disastrata Libia attori internazionali potenti, pronti a usare le maniere forti e, soprattutto, liberi di decidere e di agire senza troppi lacci e lacciuoli. Ma non è solo questo.
Bisogna evitare che l’infinita crisi post-2011 produca due ulteriori disastri. Il primo sarebbe mettere a rischio la stabilità della sponda sud del Mediterraneo, già scossa dalle guerre, dalle rinnovate tensioni tra Grecia e Turchia, dalla tutt’altro che risolta questione dei flussi di migranti e profughi. Sarà bene ricordare, in proposito, che Sarraj è incapace di frenare i trafficanti di uomini che organizzano i viaggi della disperazione attraverso il nostro mare, ma Haftar lucra sull’ingresso in Libia da Sud di chi fugge dall’Africa subsahariana per raggiungere l’Europa.
Il secondo sarebbe invece aprire prospettive inquietanti sulla sicurezza dei Paesi della Ue. Secondo molte fonti, i cinquemila 'soldati' che Erdogan ha promesso a Sarraj verrebbero in gran parte dalle milizie islamiste per lungo tempo impiegate nel Nord della Siria. Gli eredi di al-Qaeda arruolati per proteggere un governo riconosciuto dall’Onu, ecco un paradosso che non vorremmo affrontare. Per tutto questo serve un’Europa coesa e decisa. Se non ora, quando?