Il "noi" che serve. Emergenza educativa, non lasciamo soli i nostri ragazzi
Cos’è una comunità educante? A metà del secolo scorso il dibattito ha diviso a lungo il mondo della pedagogia. Non senza polemiche, superando anche il terremoto ideologico del ’68, si è arrivati a parlare di comunità educante in riferimento a quell’alleanza in cui tutti gli adulti che si occupano della crescita psico-fisica di un bambino e della sua maturazione umana e cognitiva condividono gli stessi obiettivi e parlano un linguaggio comune, autorevole, affidabile, ciascuno nella specificità del suo ambito. Un patto ideale che, con la delega dei genitori, vede insegnanti, catechisti, allenatori sportivi e altre figure adulte offrire competenze tecniche ed esperienza umana in dialogo concorde.
Sorridiamo? Sì, ma per non piangere di fronte al baratro che oggi separa questi buoni auspici dalla nostra realtà educante segnata da costante e denigratorio antagonismo. Gli incontri tra genitori e insegnanti sono più spesso scontri tra sindacalisti dei figli e difensori di scelte didattiche. E quando ci spostiamo dall’aula alla palestra o al campo sportivo, ecco i padri ultras disposti alle violenze più intollerabili. È così difficile comprendere che il peggior servizio reso ai nostri figli è la conflittualità permanente tra gli adulti che si occupano a vario titolo della loro educazione? Pensiamo di difenderne i risultati scolastici o la carriera sportiva, ma facciamo solo passare l’idea che l’incapacità di comprendere le ragioni dell’altro, il contrasto verbale o addirittura il litigio sono la modalità ordinaria per gestire le relazioni. E, ancora peggio, che le idee degli adulti sono spesso tanto confuse da essere inconciliabili. E così tutti insieme, genitori compresi, perdiamo fiducia e credibilità ai loro occhi.
Quando parliamo di emergenza o di povertà educativa – ne diamo conto anche oggi, nelle pagine di attualità – non dimentichiamo questo punto di partenza. Non c’è strategia politica né economica che possa sostituire la ricomposizione in qualche forma di quella da oltre mezzo secolo cerchiamo di definire comunità educante. Se non riusciremo a dare nuovo slancio a questa alleanza, le tante emergenze educative finiranno per diventare sempre meno gestibili. E rischieranno di finire nel vuoto anche i ripetuti allarmi, come quello diffuso nei giorni scorsi con la ricerca Save the Children-Caritas, secondo cui sarebbero circa 100mila i ragazzi di 15-16 anni in condizioni di povertà. Per affrontare situazioni tanto drammatiche e tanto complesse non bastano i finanziamenti – sempre che ci siano – non bastano nuove strutture, non basta neppure offrire un generico sostegno alle famiglie. Serve, appunto, un progetto condiviso, un’idea strutturata, un obiettivo su cui sintonizzare pensieri ed energie. L’educazione è una questione troppo seria per potersi illudere di vincere da soli.
Anche la famiglia più “funzionale” e più competente finirà per apparire inadeguata su una barca sociale in cui ciascuno rema in direzioni diverse e ostacola lo sforzo degli altri. Al contrario, in una cornice culturale generativa, dove nessuno imputa agli altri la difficoltà dell’impresa – che parlando di educazione rimane mastodontica – ma dove si respira una sostanziale condivisione di fondo, anche le scelte più impegnative potranno essere più facilmente accolte. È così difficile, per esempio, immaginare un fronte comune sull’educazione digitale, una tra le urgenze non rinviabili di questi anni? Abbiamo gruppi sempre più consistenti di genitori, ma anche di insegnanti e di educatori, schierati insieme, attraverso iniziative chiamate non a caso “patti digitali” per rendere più consapevoli i nostri minori sui rischi del web senza che la tutela diventi repressione, ma sia soprattutto promozione delle qualità personali e aiuto all’assunzione di nuove responsabilità.
E perché non ci può essere un “patto ecologico” capace di dare coesione, anche sul fronte educativo, alle nuove sensibilità e al nuovo desiderio di partecipazione innescato anche grazie alla Laudato si’ e ai gruppi nati intorno all’enciclica? Sono temi che toccano da vicino i ragazzi, che parlano direttamente al loro cuore, tanto che la cosiddetta eco-ansia vissuta da molti giovani è un pensiero che tormenta e assilla quanto più si dilazionano gli interventi in un balletto di posizioni contrastanti.
Ma l’ambito forse più drammatico in cui si misura lo sgretolamento della comunità educante è quello che riguarda l’inclusione delle persone fragili, dei tanti diversi, dei minori stranieri che saranno i cittadini del futuro. Qui davvero sarebbe necessario uno sguardo univoco e una voce concorde di accoglienza, non solo per mettere a tacere discriminazioni di qualsiasi genere, ma per sollecitare chi deve prendere decisioni fondamentali a non indugiare oltre. Servono insomma nuove idee per ridare senso e cittadinanza al vecchio ma insostituibile concetto di comunità educante. Senza un “noi” rinnovato nei propositi e nelle strategie rischiamo anche sul fronte educativo la deriva dell’inconsistenza. Chi ha buone idee per rifondare il patto si faccia avanti.