«Non ho più speranza per votare». Ma non possiamo rassegnarci
Caro direttore,
alle prossime elezioni non credo che voterò. Perché per votare ci vuole un minimo di speranza e l’attuale politica mi ha strappato ogni speranza. Promesse campate in aria, litigi continui, voltafaccia sfrontati, menzogne, insulti quasi da trivio, elettori trattati come imbecilli: questa è stata la campagna elettorale. Pur volendomi il naso, non saprei chi votare. Vedo sfacelo e mi sento senza speranza. Una speranza che latita già dai tempi dell’invettiva di Dante: «Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave senza nocchiero in gran tempesta, non donna di provincie, ma bordello!»…
In queste settimane, caro amico, l’ho già scritto e detto molte volte: sono tanti, per tantissimi di noi, i motivi di insoddisfazione e di lontananza dall’attuale offerta politica. Nessuno convince pienamente. Non possiamo neppure “preferire” le persone che ci convincono di più in questo o quel partito. E ferisce tanti il rifiuto ostinato di dare vero ascolto e autentica rappresentanza alla preoccupazione della grande maggioranza degli italiani per la miscela esplosiva costituita da crisi finanziaria, pandemia e guerra. Eppur bisogna turarsi il naso e decidere per quel po’ che la legge elettorale in vigore ci consente. Ieri – ne diamo conto su “Avvenire” di oggi, 22 settembre – anche i nostri vescovi ci hanno invitato a farlo. A partecipare. A esercitare il nostro diritto-dovere di voto. E lo hanno fatto con parole nobili e mobilitati dei migliori sentimenti cristiani e civili di cui siamo capaci. Chiedono di osare proprio quella speranza che lei dice non avere più. Dall’«Appello alle donne e agli uomini del nostro Paese» scandito dal Consiglio permanente della Cei prendo una sola frase che è profondamente radicata nel Vangelo e, dicendo tutto, indica a credenti e non credenti la via di un Paese consapevole, accogliente e solidale: «Non possiamo mai abituarci a vedere la vita calpestata».