Macron, l'Ue e l'aborto. Non diritto di sopprimere, ma pieno dovere di giustizia
Il proposito di Macron di introdurre l’aborto nella Carta dei diritti fondamentali della Ue mi sembra una parola, più che erronea, perversa. Non solo perché fa d’una tragedia umana, d’una piaga cruenta un traguardo protetto, ma primariamente perché travisa e tradisce la stessa parola di 'diritto'. Diritto è il bene, diritto è il giusto, e la sapienza romana da cui discende la civiltà giuridica del mondo lo compendiò con le tre grandi parole del Digesto, «vivere onestamente, non far male agli altri, dare a ciascuno il suo». L’aborto fa il male d’un altro, gli toglie ciò che è suo, la vita, è una ingiustizia posta alla radice dell’esistenza. Con quanta cura se n’è cancellata nei dibattiti l’immagine fisica, cambiando persino le parole; o peggio, cambiando il volto stesso del figlio, fatto meno persona d’una persona, quando non un ingombro, un intruso che è ben lecito sloggiare dal grembo (Thomson e seguaci).
Ma sono gli occhi chiusi su quel volto, che spiegano la perversione dialettica dell’aborto-diritto. Persino involontaria, forse, se lo snodo è la parola 'accesso'. Anche Macron ha detto «diritto all’accesso». È una visione del problema già abbozzata e respinta (Rapporto Estrela, 2013), che torna in primo piano, incorniciata da un’aura di sollecitudine sociale. Si dice, appunto, che il 'servizio' sanitario di aborto non dev’essere difficoltoso, ma accessibile a tutte le donne. Si guardano i medici obiettori di coscienza come fossero disertori, da mettere in riga. Nel giugno dello scorso anno il Parlamento europeo ha approvato una Relazione che invita gli Stati membri a «garantire l’accesso universale all’aborto sicuro e legale». Allargando il panorama sui Paesi poveri del mondo, si è talvolta affiancato l’impegno, doveroso e lodevole, di promuovere la salute e la cura della condizione femminile con l’offerta di aborto medicalmente assistito.
Una visione dell’aborto come ingrediente della salute sessuale e riproduttiva mette un brivido. Porre l’accesso all’aborto fra i diritti umani sposta il bersaglio: non più neppure il bene o il male dell’atto abortivo, ma semplicemente l’efficienza o inefficienza dell’apparato che vi dà accesso. Se sopprimere un figlio sia un diritto o no, sembra così non far più problema su cui perder tempo: è un’opzione, una variante di scelta, le cui ragioni (che la legge in astratto vorrebbe) non debbono essere addotte. Non più il 'se', ma il 'come'. Il se è già una libertà di suo, il come è un diritto da scrivere.
E invece il diritto o, meglio, i diritti generati dalla maternità, i diritti della madre e del figlio chiedono per giustizia l’approccio contrario. Perché s’affaccia quel pensiero di morte, nella vita d’una madre? Calarsi dentro le ragioni che fanno difficile una maternità e mettono in bilico la vita d’un figlio è dovere sociale. Il diritto di una maternità a rischio di rifiuto, a rischio di rinuncia, per le strettoie, le angustie, le attese inappagate, gli ostacoli pur rimovibili, ma divenuti insuperabili per l’indifferenza sociale e per la diserzione alle promesse d’aiuto, è il diritto a un soccorso efficace per superare le difficoltà. Per il Terzo Mondo, infine, che si vorrebbe emancipare esportando il servizio abortivo, la parola chiave dell’accesso, l’accesso che realizza il primo diritto che è il diritto di vivere, è l’accesso al cibo, all’acqua, ai farmaci, ai beni della terra in modo egualitario e condiviso, molto diverso dall’abituale egoismo rapace dei Paesi ricchi.
Se passo mentalmente in rassegna le dichiarazioni che i popoli del mondo hanno scritto sui diritti umani di tutti, sempre cominciando dalla vita, e penso al proposito odierno di insinuarvi l’accesso alla soppressione della vita, sento più che la rivolta per l’insipienza giuridica il dolore per lo smarrimento di quel miracolo di gioia che è la sponsalità del corpo dell’uomo e della donna per la pienezza della relazione e la fecondità della vita donata. Non vorremmo mai perdere la parola dell’amore, e avere sullo sfondo la parola della morte. Che follia la distruzione del figlio come salute sessuale.