Oltre i separatismi. Non c’è indipendenza senza interdipendenza
Al ginnasio, per spiegarci i Balcani il professore di lettere affisse al muro una cartina muta della regione, prese dei barattoli di vernice di colori diversi su cui scrisse: croati, serbi, rumeni, albanesi, sloveni, montenegrini, magiari... Intinse un pennello in ogni contenitore e gettò la vernice sulla mappa, creando un gioco di colori che sembrava un’opera puntiforme impressionista. Più tardi, per spiegarci il Caucaso, citò Erodoto che nel V secolo prima di Cristo presentava una regione «con molti popoli di tutte le razze», e Strabone che quattro secoli più tardi, annotava nei suoi diari la presenza di più di 70 etnie. Sentenziò il professore: «Il mondo non può vivere in pace che nella modalità del mosaico».
Ripenso a quelle parole in contingenze storiche come quelle attuali che ci presentano un pianeta globalizzato, ma in cerca di identità, con forti spinte indipendentiste e separatiste. Guardando la questione da un punto di vista geopolitico, il referendum catalano, così come quello svoltosi nel Kurdistan iracheno, assieme alle reiterate manifestazioni indipendentiste in diversi Paesi del globo (dai chapas messicani agli aymara boliviani, dai rohingya del Myanmar alle tendenze indipendentiste in Congo, dagli scozzesi a ceceni, ossetini, abcazi e ingusci nel Caucaso, ai maori del Pacifico) mostrano come il fenomeno di un rinnovato nazionalismo a base monoetnica o monoculturale tocchi tutti i continenti, nessuno escluso. Ciò vuol dire che il processo di globalizzazione, nel momento in cui non riesce a coniugare assieme locale e globale, fallisce nella sua visione universale e risulta al contrario un potente stimolo alla ricerca di identità su base solo locale. Il fenomeno indipendentista e separatista non è certo nuovo, ma oggi conosce un ritorno per certi versi inquietante, perché mette in questione equilibri secolari. Se le rivendicazioni d’identità dei popoli sono più che legittime, non altrettanto lo sono i meccanismi di separazione e indipendenza. Scrive il politologo Pasquale Ferrara a proposito del caso catalano-iberico-europeo: «Una volta si diceva, ottimisticamente, che l’Europa dei micronazionalismi avrebbe rischiato la 'cantonalizzazione' sul modello svizzero. Direi che oggi essa corre un pericolo ben più grave, e cioè la 'balcanizzazione'».
Cioè la riduzione delle patrie a micro-patrie, significanti dal punto di vista culturale e etnico ma insignificanti da quello economico e politico. Se il progetto europeo aveva come obiettivo quello di tenere assieme le centinaia di identità etniche e culturali in un’unica casa comune per superare le antiche avversioni, oggi il rischio è quello dell’asfissia. Simile discorso va fatto per il Kurdistan iracheno: dal 1920 i curdi chiedono un’indipendenza più che legittima: solo per 11 mesi in Iran, all’indomani della Seconda guerra mondiale, ci fu qualcosa di simile all’indipendenza, la Repubblica di Mahabad. Poi c’è stata solo conflittualità costante, soprattutto in Turchia, ma anche in Siria e in Iraq. Nei fatti, oggi i curdi sono sparpagliati in una trentina di Paesi e i territori popolati in prevalenza da loro in realtà annoverano minoranze a iosa: solo nel Kurdistan iracheno si trovano arabi, turcomanni, yazidi, siri, armeni... Per non parlare di Kirkuk e della piana di Ninive, dove pure si è svolto il referendum, che non hanno una vera maggioranza curda. Il tutto in un contesto, come quello mediorientale, in cui le spinte localiste sono all’acme.
Il pensiero sociale della Chiesa offre tuttora la sintesi più plausibile per far convivere le legittime identità dei popoli in unità politiche non necessariamente monoetniche e monoculturali: «La valorizzazione delle differenti identità aiuta a superare le varie forme di divisione che tendono a separare i popoli e a farli portatori di un egoismo dagli effetti destabilizzanti», è scritto nel 'Compendio della Dottrina sociale della Chiesa' (434). È la visione di un mondo globalizzato e interdipendente, espressione del politologo Benjamin Barber recentemente scomparso, ma anche un mosaico dove indipendenza e interdipendenza debbono coabitare, contemplando la legittima libertà e autonomia dei singoli popoli, ma senza necessariamente unità statali a base monoetnica o monoculturale.