Botta e risposta. «Non basta il reddito di cittadinanza» la strada è l'«inclusione»
Caro direttore,
si fa un gran parlare del reddito di cittadinanza, ma penso non sia la giusta soluzione, per stoppare la crescita delle nuove povertà. Più della mancanza dei soldi al nuovo povero mancano gli altri. Il nuovo povero è solo, fuori dal mondo che credeva essere suo. Chi non ha perso il lavoro e continua la sua vita, non lo vede, o se lo vede si sente infastidito, magari lo aiuta donando qualcosa. Chi meglio della Caritas fa questo? Aumentano le bocche da sfamare? Si cerca più cibo. Aumentano i senzatetto? Si mettono a disposizione più letti. Va bene, ma non basta; bisogna riavvolgere il nastro, il nastro della vita, ridare dignità, far ritrovare la dignità, costringere il povero il nuovo povero a reagire. Proviamo a farli parlare, incontrarsi e incontrarli, sentire quali sono le loro idee, ad esempio per creare un nuovo lavoro, idee di persone emarginate che in modo rassegnato pensano che la loro vita sia finita, idee di disoccupati 50enni, quindi grandi per rientrare di nuovo nei processi produttivi, ma capaci di avere grandi idee e, se aiutati, capaci di creare imprese dei poveri. Solo così la persona può ritornare al centro. La politica, i sindacati, la società attiva non hanno tempo per queste cose, quindi tentano di dare ai poveri un po’ di euro in modo che stiano zitti e possano incrementare i consumi. Io non so se questi soldi ci siano veramente, ma se ci sono, utilizziamoli per creare nuovi posti di lavoro. Come si capisce, la Chiesa si deve far carico di questo sforzo: stimolare, sollecitare, unire tutti coloro che nonostante tutto non si vogliono arrendere. Ci si affanna per dare dignità alla morte... Non dimentichiamoci della dignità della vita.
Lei, gentile signor Riggio, coglie un punto essenziale di una efficace e giusta politica di contrasto alla povertà: la necessità di andare oltre la mera assistenza monetaria. Per questo non basta un 'reddito di cittadinanza', che nella sua accezione classica è la semplice redistribuzione di fondi pubblici a tutti i cittadini di uno Stato. E secondo l’impostazione data dal Movimento 5 Stelle è un (consistente) sussidio in caso di disoccupazione, subordinato alla ricerca di un nuovo lavoro. Aiuti importanti, ma non sufficienti a ridare opportunità, ricostruire personalità, in una parola restituire dignità a chi si trova in miseria. L’obiettivo dev’essere invece quello dell’«inclusione» nella comunità, nel lavoro, nelle relazioni sociali di coloro che ne sono esclusi o posti ai margini. Proprio per questo da alcuni anni si è formata, su impulso iniziale di Caritas e Acli, un’'Alleanza contro la povertà' che ha via via raccolto l’impegno di associazioni, sindacati, enti locali, Ong e ha elaborato una proposta di intervento complessivo, alla quale si sono via via ispirati i governi Letta, Renzi e Gentiloni nella definizione del 'Reddito di inclusione' (Rei) da qualche settimana finalmente approvato dal Parlamento. Uno strumento che, a fianco di un sussidio di entità variabile a seconda delle condizioni familiari (oggi ancora limitato nella sua consistenza), prevede un piano personalizzato di inclusione sociale appunto, attraverso l’attivazione di servizi per il lavoro, la cura della salute fisica e psichica, l’accompagnamento nell’educazione dei minori. Un intervento a tutto tondo, una vera e propria 'presa in carico' della persona finita in povertà che necessita, oltre all’attivazione dei servizi pubblici, del convinto coinvolgimento di associazioni, enti e cooperative del Terzo settore per la loro vicinanza a chi è escluso, la capacità di mobilitazione di risorse sociali sui territori e la forza che deriva dal porre attenzione non a un cliente, non a un utente, ma a una persona appunto, al proprio prossimo con la sua unicità e complessità. In quest’opera la Chiesa è mobilitata da sempre, non solo con le caritative classiche, ma con iniziative – dai centri di ascolto alla promozione di cooperative, dalla formazione alle iniziative del Progetto Policoro – che cercano di rendere protagonista del proprio riscatto chi si trova in una condizione di bisogno. Questa ora, per quanto in maniera ancora parziale, sembra finalmente essere anche la strada imboccata con la legge delega per il contrasto alla povertà: includere chi è escluso perché possa egli uscire dalla condizione di povertà. Non 'essere aiutato', ma 'venire accompagnato' in un cammino di autonomia, di crescita e di pieno inserimento nella comunità. Non più 'aiutare i poveri', ma 'aiutarsi' come società assieme ai poveri.